La conobbi una notte d’estate, che la luna annegava nel riflesso ondoso dei canali. Passeggiavo rasente un muro, annoiato dal viavai scomposto dei turisti, il vociare alticcio e ridanciano urtava le mie orecchie, come un ronzio senza fine. Dalla laguna saliva l’odore del mare, misto al puzzo artificiale dei vaporetti. Le piattaforme galleggiavano impacciate, sospinte verso il basso da piedi stranieri e impazienti. L’aria della sera rinfrescava la fronte, tra le dita il mozzicone bruciacchiato di una sigaretta che avevo acceso alla stazione, ma che mi ero poi scordato di fumare. La cenere era caduta a terra, dietro di me, lasciando un’effimera traccia del mio passaggio. In bocca avevo ancora il sapore del vino, un bianco di nessun valore che mi ero obbligato ad ingollare per educazione, offertomi da un tale che lavorava due piani sotto a me a cui erano nate tre gemelle. Aveva un’espressione ebete in faccia, come la mia, pensai, quando diventai padre, tanti anni fa.
Il mio matrimonio era andato a rotoli, gettato in caduta libera da una notte d'amore neanche bella, che mi costò la casa, un terzo buono dello stipendio e i baci in fronte, prima di dormire, ai miei figli.
Pensandoci bene, non era stata poi una notte così orribile. Meccanica, quello sì, ma la ragazza con cui ero stato aveva sussurrato il mio nome con dolcezza, il che, dopo sei mesi di astio continuo con Susanna, mi bastò.
Non mi mancava mia moglie, nonostante il fatto le fossi immensamente grato di avermi dato tre figli. Le volevo bene, come ad una vecchia compagna di scuola che ha diviso con te anni importanti. Non la sognavo la notte, al massimo pensavo a lei al tramonto, quando tornavo a casa e il suo odore non mi accoglieva.
Evitai di lasciarmi andare a pensieri malinconici, accelerai il passo e mi spinsi tra la gente, in mezzo a corpi sudaticci che puzzavano di cibi veloci e qualche bicchiere di troppo. Imboccai la prima calle buia che si presentò ai miei occhi, girando attorno ad un palazzo da cui pendevano fili di corda abbassati dal bucato. Il silenzio di quel vicolo sconosciuto mi calmò. Appoggiai le spalle ad un portone mezzo scrostato e respirai a fondo, incapace di trovare il punto in cui il mio corpo finiva ed iniziava il resto del mondo. Decisi, lì, immobile contro la soglia di uno sconosciuto, di tornarmene a casa, al diavolo il Redentore! L’ansia che avevo fino ad allora ignorato crebbe veloce dentro di me. Mi sentii di colpo invecchiato, il peso degli ultimi cinque anni mi schiacciò verso il basso. Piegai le ginocchia, senza davvero rendermene conto. Stavo per sfiorare il cemento della strada, quando un rumore attirò la mia attenzione. Non il vociare che avevo ripreso a sentire in lontananza, ma il sussurro vicino di una voce di donna.
“Si sente bene?” Mi chiese, con un tono accorato.
Alzai lo sguardo, vergognandomi della posizione in cui versavo, piegato a terra come un ubriaco di quart’ordine. Scattai in piedi, cercando disperatamente di non sembrare un cretino.
La vidi nel buio della notte, i capelli illuminati da un lampione appeso sopra le nostre teste, un timido sorriso che non pareva di circostanza le riempiva il viso.
Gli anni scivolarono dalle dita, tutti insieme, quelli belli e quelli brutti. Le noie, l’astio, il rancore, si dissolsero nel verde antico dei suoi occhi.
Non capivo il perché di tanto trambusto interiore. In fondo lei era semplicemente una donna, come tante. Una luce negli occhi, però, dolce e rassicurante, la rendeva speciale.
Il corpo morbido, di donna, coperto da un abitino leggero che si muoveva sopra le ginocchia, cozzava con il suo viso da ragazza.
Era strepitosa, eppure ingenua. Da mozzare il fiato e avvolgere la mente.
Sorrisi, sorrise anche lei. Non le chiesi nulla, nemmeno il suo nome. Non aveva alcuna importanza in quel momento. Non avrei saputo reggere ancora alla sua voce. Le presi la mano, la guidai, come un uomo con la sua donna, lungo le calli, su e giù per i ponti. La tenni stretta, mentre giuravo a me stesso che non l’avrei mai più lasciata. Vidi le luci dei fuochi illuminare la laguna, attraverso i suoi occhi. Le baciai le labbra, accompagnandola a casa. Non feci l’amore con lei, quella notte. Non potevo, non ancora. Lei era la mia donna, la sola. Preziosa e unica.
Barbara Greggio