Referendum sull’oro in Svizzera, cosa potrebbe accadere alle quotazioni
INVESTIRE IN ORO
Promossa dal Partito Popolare Svizzero, l’iniziativa cerca di ottenere il consenso della maggioranza degli svizzeri sui tre punti cardini dell’azione popolare: obbligare la banca centrale elvetica a rimpatriare entro 2 anni l’oro detenuto all’estero e di proprietà della stessa banca (cioè circa il 30% di tutto l’oro iscritto a riserva in bilancio – pari a circa 1.040 tonnellate), la detenzione di un quantitativo di oro minimo del 20% delle riserve (contro l’attuale 8%) entro un termine massimo di 5 anni, il divieto di vendere l’oro.
Facile cercare di comprendere cosa potrebbe accadere in caso di passaggio positivo del referendum. La banca centrale svizzera in tale ipotesi dovrebbe infatti procedere al riacquisto di 1.500 tonnellate di oro entro il 2019, procedendo quindi ad un ritmo di circa 300 tonnellate di oro l’anno, per un costo complessivo – alle attuali quotazioni del metallo prezioso – di 56 miliardi di dollari. Stando alle stime più attendibili, la richiesta annua di oro da parte della banca centrale svizzera ammonterebbe al 7% della richiesta mondiale, con complessiva influenza al rialzo dei prezzi dell’oro.
Insomma, ammettendo che tale conclusione non sia eccessivamente semplicistica, è possibile che l’esito positivo dell’iniziativa popolare svizzera possa condurre in rialzo le quotazioni dell’oro, trascinandole dall’attuale soglia (intorno ai 1.140 dollari l’oncia) fino a previsioni che parlano addirittura di 1.300 – 1.350 dollari l’oncia.
In ogni caso, è bene non correre alle conclusioni troppo avventate. Non sono pochi, infatti, gli analisti che ritengono che un esito positivo del referendum non porterebbe alcun rialzo stabile nelle quotazioni dell’oro, quanto semplicemente un rimbalzo momentaneo, che verrebbe assorbito nel breve-medio termine.
Intanto, in Svizzera vengono alimentate le discussioni tra i due schieramenti. Coloro i quali sostengono il referendum vorrebbero sostanzialmente obbligare la banca centrale svizzera a seguire delle linee guida piuttosto rigide che potrebbero vincolare il suo raggio d’azione, evitando che possa vendere oro e stampare moneta senza alcun apparente limite. Di contro, coloro i quali si dichiarano contrari affermano che in questo modo la politica della banca centrale svizzera sarebbe “poco credibile” sui mercati finanziari, e la sua struttura verrebbe eccessivamente contraddistinta da asset scarsamente liquidabili sul brevissimo termine.
Secondo quanto afferma un recente sondaggio online compiuto da alcuni quotidiani svizzeri, quasi il 50% dei cittadini sarebbe favorevole ai tre quesiti referendari, mentre il 40% si dichiarerebbe contrario (la parte rimanente non ha ancora un’opinione). Sembrerebbe pertanto che lo scenario di esito positivo del referendum sia il più probabile: un’informativa che tutti coloro i quali effettuano impieghi nel metallo prezioso dovrebbero assumere in considerazione, unitamente al fatto che l’iniziativa svizzera è tutt’altro che un caso isolato.
Da anni, infatti, alcune banche asiatiche stanno facendo rastrellamento di oro. La Cina, ad esempio, non aggiorna più i suoi dati relativi alla sua disponibilità di riserve di oro dal lontano 2009: indiscrezioni affermano tuttavia che nel frattempo Pechino abbia accumulato almeno altre 5.000 tonnellate, e che probabilmente il suo patrimonio di oro supererà quello statunitense. La Russia è accreditata dello stesso comportamento, e altre nazioni stanno effettuando ulteriori acquisti, più o meno esplicitati.
Insomma, la domanda di oro potrebbe essere sostenuta ancora a lungo dalle banche centrali e dalla loro politica di acquisto. Occhi aperti sul referendum svizzero del 30 novembre, e sui suoi effetti presumibili nelle settimane successive.