Accordi e disaccordi (Sweet
and Lowdown)
di Woody Allen
con Sean Penn, Samantha Morton, Uma Thurman
Commedia, 95 min., USA, 1999
*** ½
Allen ricostruisce la vita di Emmet Ray, chitarrista jazz degli anni ’30 “secondo solo a Django Reinhardt”, grazie alla grandissima interpretazione di un Penn in stato di grazia. Il personaggio è sopra le righe (geniale, donnaiolo, lagnoso, scialacquatore) ma la saggia strutturazione del film ed il suo andamento delicato riescono ad elevarlo a modello paradigmatico per una saggia riflessione sui temi della realizzazione personale e dell’amore.
Luna di fiele (Bitter Moon)
di Roman
Polanski
con Hugh Grant, Emmanuelle Seigner, Peter Coyote,
Kristin Scott Thomas
Drammatico, 138 min., Francia, G.B., USA 1992
***
Una
giovane coppia inglese, Nigel e Fiona, incontra una coppia francese durante un
viaggio in crociera: Oscar, costretto su una sedia a rotelle, e la moglie Mimì.
La bellezza di quest’ultima colpisce Nigel a tal punto da farlo avvicinare anche al marito Oscar, che decide di raccontare la storia di amore folle
e malato che lo lega a Mimì. Sono due le cose che ci tengono incollati allo
schermo: il livello di “violenza” della storia erotica tra Oscar e Mimì e la
bellezza di Emmanuelle Seigner. Per il resto la regia di Polanski è abbastanza sobria, il finale fin troppo ermetico e, a dirla tutta, della
coppia inglese (interpretata da un Grant e una Scott Thomas insipidi) ne avremmo fatto volentieri a meno.
The Addiction
di Abel Ferrara
con Lili Taylor, Annabella
Sciorra, Christopher Walken, Paul Calderon
Drammatico, 82 min., USA, 1995
***
L’incredibile coppia Ferrara-St. John mette in scena un "horror" metropolitano in bianco e nero che tratta della dipendenza dal male e dalla dannazione. Lo fa mescolando la tradizione letteraria a quella filosofica. Ne esce una studentessa universitaria vampira che dipende dal sangue (la droga, il male) e che, tramite la materia che studia (la filosofia), si interroga sulle origini della dannazione e della grazia. Quest’opera non riafferma solo il genio narrativo di Nicholas St. John ma anche quello visionario di Ferrara che, anche all’interno del film, mescola generi e arti (la musica, il cinema, il documentario) creando qualcosa che ora, a vent’anni di distanza, nessuno avrebbe il coraggio di finanziare.






