Magazine Poesie
Dal 4 gennaio 1925 è in Belgio, a Liegi dove studia Scienze Naturali presso la locale Università. A Liegi stringe rapporti d’amicizia e collaborazione con altri antifascisti italiani esuli o studenti come lui, fondando la rivista letteraria “Vita”. Dal novembre del ’26 è a Parigi, dove frequenta la Facoltà di Medicina della Sorbona. Qui, entra in contatto col gruppo di antifascisti che ruota attorno al “Corriere degli Italiani” che, poi, diventa sede della “Concentrazione antifascista”. Inizia a scrivere sotto lo pseudonimo di Elio Salentino, stringendo rapporti d’amicizia e collaborazione con Aldo Salerno, Alviso Pavan, Beltrani. Nel ’27 lascia Parigi per tornare a Lecce, ma viene intercettato un pacco presso la frontiera di Domodossola, speditogli dall’amico Pietro Piccarreta, contenente tutto il suo materiale rimasto a Parigi (libri, articoli, manoscritti) e «comprovante l’attività antifascita di Renato e il fatto che egli altri non era se non il noto Elio Salentino» (D’Antico, A.). Processato dal tribunale di Bari, viene condannato dalla Commissione Provinciale a 5 anni di confino. Riconosciuto colpevole di attività sovversiva e antinazionale, il 6 aprile 1928, viene condannato a 6 anni, tre mesi e quindici giorni di prigionia. «La famiglia inoltra ripetutamente domande di grazia che egli si rifiuta di firmare per non dover rinnegare i suoi principi, la sua fede, i suoi ideali» (D’Antico, A.). Il regime, non sapendo piegare il suo spirito lo definisce come “vaneggiante” rinchiudendolo nel Manicomio Criminale di Napoli (1932), ma nel ’33 viene fatto tornare a Lecce, dalla sorella Maria. A Lecce progetta una nuova rivista, “La nuova stampa”, scrive il romanzo “La campana del mio convento”, cerca di riallacciare i rapporti con gli altri antifascisti, ma la Lecce del tempo non si accorge di lui, che resta continuamente sorvegliato dalla polizia, e intraprende la strada del silenzio, dell’indifferenza. Un giorno abbandona, senza preavviso, Lecce, recandosi a piedi a Parabita «dove aveva ascoltato per la prima volta la tenerezza degli affetti e il tepore dei sentimenti, dove aveva stabilito le prime amicizie, sentito il palpito dei primi ideali, ascoltato la voce del bisogno di libertà» (D’Antico, A.). Si reca nel cimitero a pregare sulla tomba dei genitori. Viene ritrovato a Leuca e giudicato, dalla polizia, affetto da “paranoia allucinatoria, pericoloso per sé e per gli altri” internandolo nel Manicomio di Lecce. Un certificato accerta la morte di Leopizzi pochi anni dopo esser stato rinchiuso in manicomio, morirà, in realtà, nel 1974 senza aver mai saputo che il regime contro cui aveva combattuto era stato sconfitto.
Liberamente tratto da: D’Antico, A., Renato Leopizzi, un uomo per la libertà, Edizioni Il Laboratorio, Parabita (Le) 1987
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