La scorsa domenica il Partito democratico ha eletto, attraverso delle primarie partecipate, e il dato non era poi così scontato, il proprio nuovo segretario, questo sì scontato: Matteo Renzi.
Il Pd ha, con molti sforzi e dopo moltissimo tempo, compreso, o perlomeno accettato, di sostenere l’unico dirigente dotato di leadership, popolare, carismatico e affascinante. Ha cioè capito, anche se tardivamente, che il sindaco di Firenze rappresenta l’unica carta vincente del proprio mazzo. Il pericolo, o più semplicemente la sfida, a cui però sta andando incontro è quella di perdere la propria identità.
Renzi, dopo la sconfitta nelle passate primarie, quelle per la leadership, sembrava essere stato messo all’angolo. Ma dopo poche settimane, la sostanziale sconfitta del Pd alle elezioni, le necessitate dimissioni di Bersani, la figuraccia della mancata elezione prima di Marini e poi di Prodi alla Presidenza della Repubblica, il governo di larghe intese con il Caimano, lo hanno inaspettatamente rivitalizzato e galvanizzato. Il Pd e la classe dirigente di allora hanno dovuto toccare il fondo per giungere a percepire i propri errori. Hanno allora organizzato una campagna tagliata ad hoc per Matteo: tanto che chi non è salito sul suo carro fiorentino, ha dovuto lasciare.
Si può, non con troppo imbarazzo e fantasia, sostenere che il Partito democratico abbia compiuto una svolta ad U. Il Pd “cambia verso”. Se non sarà semplice pedina di un apparato solo apparentemente rottamato, ma invece ancora nella sala dei bottoni, Renzi trasformerà, ed in parte lo ha già fatto, il maggiore partito della sinistra italiana in un grandissimo contenitore post ideologico e riformista. La storia del Pd come eredità del Pci prima e del Pds poi si è conclusa. Non solo per motivi anagrafici e generazionali, ma di contenuto. Alcuni episodi dei primi giorni di segreteria Renzi sono sintomatici di questa tendenza innovatrice e aziendalistica: il fatto ad esempio di scegliere da solo la propria squadra, assumendo su di se onori ed oneri, in bravissimo tempo e di convocarla all’alba; la smania di incontri,riunioni, conferenze stampa, interviste… una specie di mania del fare o del far vedere di fare. Insomma il partito più pesante d’Italia sembra aver chiuso i battenti e con esso, ora veramente definitivamente, la seconda Repubblica.
Il neo segretario non ha inventato niente, ha solo rinnovato, o meglio dire snaturato, il suo partito con ricette non così moderne, ma che almeno funzionano. Il pericolo che anche il centro sinistra diventi personale, un tantino populista, sicuramente meno ideologico e più moderato c’è eccome, ma questo sembra essere il dazio da pagare per non essere emarginati all’opposizione o, bene che vada, parte in un governo di larghe intese. A rendere il tutto paradossale è che fino a pochi mesi fa la maggior parte di coloro che oggi sono, a malincuore o meno con Renzi, aberravano soltanto all’idea di tale ipotesi.
Per primo Berlusconi, poi Grillo e ora Renzi: l’italiano continua, nel momento della disperazione, ad affidarsi all’uomo della provvidenza e chissà ancora per quanto.
Come lo stesso Renzi ammette la vera partita si gioca ora, nel sostegno ad un Governo che è quanto più lontano dalle sue predicazioni. Ecco perché il neo segretario scalpita per un nuova legge elettorale, avendo un occhio già rivolto alla prossima sfida, quella che realmente e giustificatamente gli interessa: le elezioni politiche.