Mai affermazione fu più parziale: se è vero, infatti, che in un determinato frangente la percezione comune di alcuni interessi condivisi può albergare nella società europea, è altresì innegabile che una semplice lettura delle diverse esperienze di governo ha portato gli osservatori seri ad individuare le infinite discrasie intercorse fra le forze a trazione socialista. Ciò che era apparso prioritario in Germania sembrò folle nel Regno Unito, ciò che sembrò scontato a Parigi apparve un successo a Roma. Com’era ovvio che fosse, posto il background storico di ciascun paese. Non a caso Matteo Renzi, prima di essere presentato come l’ultimo tentativo di blanda emulazione del laburismo blairiano, è stato accusato da più parti, in seno al suo stesso partito, di essere un eretico di “destra”, ove non apertamente liberista.Lazar scrive che la palestra politica di Hollande nel partito che fu di Mitterrand lo convinse per tempo ad essere uomo di cuciture e non di strappi, a prediligere la via del dialogo anziché quella dello scontro. Un programma diametralmente opposto rispetto alla rottamazione di renziana memoria. Analogamente, mentre l’ex sindaco di Firenze è figlio di una generazione nuova pronta a reclamare spazio, una generazione che si affaccia con interesse alla responsabilità nazionale e così “appare a suo agio sia in tv che sui social network o nei suoi show all’americana”, Hollande – viceversa – sembra imbolsito in un modo di fare politica che spesso e volentieri legge come il trionfo della forma sulla sostanza, e non concepisce il nuovo idioma della condivisione. E qui, a mio avviso, Lazar compie un errore prospettico: si limita a proiettare sul piano politico le differenze umane fra i due, roba buona per i sociologi, senza leggere la comunanza di vedute in relazione alle problematiche della società globale.La svolta con cui Hollande ha annunciato l’inizio di una riflessione critica in seno al governo, soprattutto in merito agli indirizzi economici, rende evidente come i processi di natura finanziaria condizionino le scelte di qualunque esecutivo, chiamato a reagire in modo sostanzialmente uniforme alla fine della fiera. Si può contenere o meno la spesa pubblica, possono essere individuate talune priorità rispetto ad altre, è possibile stabilire delle linee d’indirizzo: ma non si può agire con gli strumenti del tardo Novecento, non essendoci più l’autonomia monetaria. La via della responsabilità ha finito col prevalere, il partito del vincolo di bilancio ha strategicamente mosso le pedine e fatto scacco matto. Bisogna prenderne atto e non cercare ad ogni costo delle difformità nella sinistra europea, raccogliendo semmai gli elementi di congiunzione nel tentativo di formulare una proposta autonoma e convincente sul panorama mondiale.
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