di Nicola Pasa
racconti narrativa
Lukas giace vivo cadavere sul letto, il sudore freddo appiccicato come sudicio residuo di incubi sulla sua pelle smorta viene via con poco, sollevato come una pellicola. Una notte insonne, palpebre rosse sopra gli occhi dolenti sormontati da precoci rughe, pieghette incise sulla fronte alta, indizio di sgomento e afflizione e non già di pensiero tormentoso inesausto.
Il sedicente medico è a colloquio da ore con la signora madre, consulto in piena notte come da prassi, la signora madre si leva nel meriggio, la luce del sole di mezzogiorno nuoce alla sua bella pelle.
Bussano alla mia porta, toc toc tic tic toc, mia madre bussa con leggiadria le sue piccole nocche ossute cozzano quasi sfiorando il legno della porta nel punto in cui è cava e il suono rintocca acuto distinto, mi desta mi percuote le tempie come un martelletto.
Entrano cupi in volto, seriosi amantucoli, faccia di circostanza offertami, le loro labbra tumide di baci cupidi, amplessi consumati nelle sue remote stanze, puzza di sperma secco dalle brache del dottorino robusto, spalle larghe, seducenti baffi sottili, fronte prominente testa grossa.
Il sedicente medico stregone mi propina delle pillole psicoattivanti di quelle remote regioni del mio cervello insano.
Depresso, un ragazzino depresso come si può.
Ragioni da vendere, quella donna stupida, il suo giovane dottorino tutto per lei, luna di miele tra i loro occhi cupi sopra di me.
Lea in Nottamburg, nostra signora madre vecchia giovane in perpetua beltà il suo volto gentile e bianco, occhi accesi di brama in una lapide di carne concupiscente, le sue mammelle floride spandono profumi allettanti e sudore. Il dottorino binocchioluto alletta, si protende sopra di me, ausculta la mia derelitta psiche. Non crede che l’anima e la psiche coincidano, lui venera la scienza e il nulla, il nulla nullificante.
Il medico di prima ragionava di mali oscuri nelle connessioni sinaptiche carenza di attivismo elettrico soleva dire strizzando due occhietti porcini per mettere a fuoco il promettente incavo tra le due floride montagne della signora madre sporgente occhiuta sgranata come infante, l’infanta di Irlanda.
il dottorino pesca nel solco tra le due poppe lattee, suo figlio necessita di pillole psicoattivanti ne ho un paio di nuove che fanno al caso suo.
Tira fuori una valigetta in pelle nera che puzza di vecchio fumo e di alcolici e di pus fermentato, una scatolina di latta straripante di grosse colorate pillole rosse.
Ecco due al mattino e una prima di coricarsi e verrà come nuovo.
Mi strizza le guance quel poco da strizzare nella mia scarnezza ossea, mi fa scartare, volgo la testa di lato.
Bofonchia in fretta e scrive su un notes, freddamente mi scruta appena, la sua bocca crudele accenna una smorfia di disprezzo trattenuta, nascosta, la colgo e la registro, i miei occhi la conservano, la rivedo quella smorfia più tardi per ore e ore mi macero nel dolore, il dottorino è immune alla mia sofferenza interiore, non ha interesse alcuno nella mia guarigione, già me lo vedo tra venti anni muto in un angolo a mendicare l’interesse della signora madre già protesa nelle sue profferte ad altre schiere di nerboruti giovani medici stregoni.
Domani sera zia Katerine ti vuole vedere. La signora madre esce seguita dal dottorino esangue, occhi lubrichi sul deretano in rilievo nel corpo ossuto.
Katerine la sorella della signora madre, goccia d’acqua di un mare diseguale in termini di composizione chimica organica, attendo la sua venuta febbrilmente la mente accesa di mille immagini di lei e dei suoi pensieri e delle sue gesta eroiche ed erotiche, la bella Katerine, sublime eccelsa mente invisa, i suoi capelli corti disegnati, il suo corpo esile fasciato stretto in abiti neri e bianchi, il suo trucco marcato, i suoi occhi viola cerchiati di polvere azzurra, la sua fronte alta e bianca liscia come pelle di serpente, la sua voce vivace, i suoi concetti alti e forti. Scende dagli alti palazzi del Nouveau solo per me, palazzi torreggianti sopra il canale a ovest a un passo dalla zona selvaggia e morta, vista mozzafiato dalla sua terrazza brulicante di antichi insetti, farfalle, vanesse in una serra a cupola di cristallo lucente, oh mia cara zia Katerine giacere sopra il tuo bel corpo per sempre …
… trascina un cadaverico sacco. Un uomo corpulento giovane, ma gli uomini corpulenti sembrano più vecchi, non trova, già, dunque trascina questo grosso sacco nero pieno di un corpo in stato di morte sopravvenuta da diciamo almeno cinque ore, il contenuto morto del sacco deve essere altrettanto corpulento, l’uomo con il sacco compie uno sforzo notevole anche per le sue possenti braccia, la schiena dell’uomo corpulento è enorme, smisurata, un’apertura alare di uno di quei mostri alati che volteggiano nell’aere nelle zone sottosviluppate … quest’uomo suda molto, anche se è troppo buio e distante da noi bé sicuramente si intuisce il sudore scendere a litri giù per quel corpaccione robusto e io me ne stavo qui sulla terrazza di un attico in compagnia della splendida Katerine, la conoscete vero ? chi non la conosce … ed era più o meno l’anno in cui venne fuori quella sporca faccenda ministeriale che ha coinvolto quel greve funzionario come si chiama, Ducek, sì, lui viscido verme, anche spocchioso mi sembrava ad una rapida analisi, comunque io me ne stavo lì a sorseggiare una di quelle schifezze senza alcol che prepara sempre Katerine per i suoi ospiti e noto quest’ombra ingombrante possente, difficile da non notare, sa come io come donna benché notevolmente attratta dal mio stesso sesso non sono immune da un certo fremito quando vedo della possanza, non so se mi spiego, e quest’uomo era la possanza personificata come una di quelle miracolose statue di Michelangelo muscoli tesi e torniti che vogliono disincarnarsi dalla materia, il marmo, quell’atto di uscire dal marmo con un gesto di meravigliosa potenza, gesto di inenarrabile libertà e poesia, trova ? a un certo punto ricordo quest’uomo corpulento che apre il sacco proprio in riva al tumultuoso canale il canale ovest proprio così, lo apre ed estrae questo cadaverico corpulento lo solleva sopra le sue spalle enormi, le sue braccia sono tese ma sollevano quella massa inerte e morta e poi la scagliano con inaudita rabbia e potenza nelle acque nere e vorticose, scompare subito ingoiato dal fiume nero, nessuna traccia è così … poi l’uomo corpulento si volta e scompare corre leggero sorprendentemente leggero scompare nel nulla cioè voglio dire nel buio della notte ecco è andata così e Katerine è tornata con uno dei suoi disgustosi beveroni alle erbe e di quella scena non c’era più traccia così non ne parlai e ne fui turbata per molto molto tempo, mi sentii come se avessi assistito a qualcosa di intimo qualcosa a cui non dovevo partecipare, come violare l’intimità di un dolore intimo di un legame profondo e famigliare non so come una cosa vergognosa spiare dal buco della serratura un momento di verità tra due persone che si dichiarano qualcosa, ecco forse è così …
Zia Katerine entra nel mio eremo puzzolente, finestre ben sigillate, non lasciano entrare ed uscire, resto nel mio puzzo per giorni, il puzzo si nutre del mio sudore dei miei aliti delle mie scoregge dell’odore delle mie secrezioni della saliva secca sul cuscino della pelle morta staccata nottetempo come pelle di serpente negli angoli frammista a pezzi di unghie capelli e sebo, raspo nel mio sudiciume come una bestiola piagnucolante, vergognoso di luce e aria. Lei non torce il bel naso aquilino, si siede senza dire niente sulla poltrona dirimpetto al mio letto e mi guarda, accavalla le gambe con noncuranza, non ci tiene a sedurre lei come la sua sorella puttana.
Caro Lukas, nipotino adorato, ho convenuto con tua madre che tu abbia bisogno di osservare il mondo là fuori, benché non abbia nulla da offrire di edificante o di bello, è pur necessario che tu metta il becco fuori da questa angusta gabbietta che ti tiene prigioniero fin da piccolo, devi conoscere il mondo per quello che è e se proprio lo vuoi sapere questo farà di te un uomo migliore.
Sulla soglia la signora madre gettava occhiate in tralice alla sorella seduta, le gambe magre intrecciate il rigoglioso seno serrato nelle braccia filiformi, precario equilibrio appoggiata allo stipite.
Abbiamo convenuto ancora io e tua madre che sarebbe il caso di portarti a fare un breve viaggio di qualche ora, dove ti piacerebbe essere condotto ?
Intreccia le mani lunghe e luminose nel suo grembo infecondo, osserva placida il mutare del mio umore grigio sul mio volto spento, alle sue spalle spiragli di luce elettrica, faretti di un elicoleottero in sorvolo sul quartiere, le incornicia il volto e i capelli ricci di un rettangolo luminoso giallo fluorescente, sfuma poi e torna un blu sfumato nel nero cupo della sera.
Mi piacerebbe molto visitare il Centro di Smistamento e Recupero Residui Organici.
E così sia, domani pomeriggio o al più tardi, a presto mio caro.
Katerine Bouvard agile nella sua tuta attillata svolazzante di un lungo foulard viola manifestò ai suoi attoniti compagni di viaggio, Lukas e la signora madre nonché sorella di lei Lea, di raggiungere il CSRRO con il treno monorotaia della Bayer che attraversava le zone rinselvatichite ai margini di Desperia, accompagnava la sua decisione con motivazioni che apparvero alla fine convincenti a Lukas e del tutto irragionevoli a Lea che le accettò riluttante includendole tra le bizzarrie della sorella notoriamente la più bizzarra variopinta informale professoressa che esisteva a Desperia.
Sono certa che la visione del mondo extra-desperia gioverà senz’altro al tuo essere, la città putrida inaridisce, spegne poco a poco, sopisce cuori e menti, al di là del proprio angusto mondo c’è di che imparare.
La vettura di Katerine Bouvard, un cingolato a gas, percorse Rue Cazière a grande velocità facendosi largo nella folla di gentaglia e straccioni solito panorama desolato di carne di San Basilio, arrivò al crocevia di Saint Joust dove imboccò la sopraelevata Ovest che sorvolava San Basilio, il Nouveau e terminava la sua corsa dritta dritta alla stazione di interscambio del Nord Ovest.
La stazione era solitamente affollata a quell’ora della tarda mattina, un pallido sole emaciato illuminava di una luce vivida una folla di volti bluastri divisa in varie processioni dirette ai vari mezzi di trasporto che partivano e/o arrivavano.
Dalla stazione partivano e arrivavano aerei per e da tutte le direzioni del globo terracqueo, treni sopraelevati e treni sotterranei, monorotaie, elicoleotteri civili e militari.
La stazione era sospesa a cento metri dal suolo, una gigantesca piattaforma galleggiante che gettava un’immensa ombra umida e fredda su parte del Gotich, vecchi caseggiati dove stagnavano migliaia di derelitti, lavoratori delle fabbriche, delinquenti, sembrava sospesa sulle nubi basse e solforose della città, bucavano la coltre di nuvole tossiche le torri, i più alti palazzi, la cupola di San Basilio, lontano l’ombra sinistra gigantesca dormiente del mastodontico carcere di massima sicurezza, una città a sé stante grandiosa e sinistra.
Lukas si sporgeva dalla grossa balaustra scrostata guardava di sotto immaginando l’umanità schiacciata da quell’ombra perenne, l’aria gelida gli seccava la faccia, una sottile pellicola di ghiaccio si stava indurendo sotto gli zigomi.
Il treno monorotaia della Bayer è un cilindro di vetro schiacciato sopra da una barra di acciaio. Entrò nella stazione sbucando dalla coltre di nubi percorrendo una rotaia di acciaio sospesa sull’abisso sorretta da migliaia di alti e solidi piloni in tutta la sua corsa.
Katerine, imitata da Lukas e da Lea, prese posto nella sua poltrona girevole. Niente di meglio per godervi il panorama. Scritto sulle gigantesche pubblicità che furoreggiavano anni fa sugli alti palazzi del quartiere. La monorotaia più sicura e veloce dell’intero globo. Certo. Quel piccoletto dalla vocetta fessa. Sui megaschermi, campeggia e domina, questuante ridanciano. La reclame si concludeva immancabilmente con il sorriso pietrificato di un adolescente, un droide quasi sicuramente, o un perfetto idiota, non so decidermi.
Lukas sedeva nella poltrona accanto. Osservava il suo alito condensarsi sul vetro in macchie grigiastre che evaporavano subito. All’esterno le persone sulla banchina non potevano vederlo mentre lui riusciva a intercettare grazie alla superficie del vetro ogni minimo riflesso della luce fredda sui volti grigi. Nella folla distinse una vecchia mendicante senza un occhio che con l’occhio buono lo fissava pietrificata, la sua bocca si muoveva impercettibilmente, mormorava frasi oscure che i vicini pigiati calcati come pesci in barile non avvertivano, né sembravano infastiditi dalla presenza malaugurante e puzzolente della vecchia mendicante nella cui bocca sdentata si muoveva una lingua che sembrava corrosa, una specie di verme marcio putrefatto.
Le facce, i volti lividi cominciarono a scorrere via trascinati da un vento che scompigliava teste capigliature copricapo, sollevava polveri metalliche. I volti cominciarono a deformarsi, si allungarono a dismisura, si dissolsero in una bruma indistinta di polveri colorate.
Ben presto il treno della bayer lasciò alle spalle la stazione di interscambio e cominciò ad allungarsi sinuoso e silente lungo il perimetro del confine ovestano.
Alla tua destra puoi osservare l’inizio dei territori inselvatichiti, sotto le fitte foreste giacciono le antiche città distrutte nel gran conflitto e bla bla quando il treno abbandonerà Desperia passeremo sopra alcune rovine perdute, alla tua sinistra la città putrescente che ci ospita suo e nostro malgrado.
Troppo acida sorella, osservi la nuda realtà, non hai pudore.
Senti chi parla di pudore, signorinella indecente.
Lea Nottamburg arricciò il piccolo ben formato naso e accavallò le gambe magre e secche, la gonna nera a tubo le salì sopra le ginocchia ossute, spettacolo per pochi paganti, un signore distante due poltrone, ben strutturato nelle spalle, leggeva sul visore notizie varie dal mondo apparentemente indifferente allo spacco generoso di Lea benché con l’occhio buono, quello libero dal monocolo visore, inquadrava a brevi intervalli una porzione non trascurabile delle sottili gambe della madre di Lukas, più in là ancora nel vagone un uomo alto distratto dal paesaggio della città seminascosta nella nuvolaglia tossica ben protetto in un grosso cappotto i lunghi spettinati capelli in parte ricadenti sulla fronte e la parte superiore del volto gli occhi celati dalla frangia il cappotto avvolgeva la poltrona interamente.
Lukas osservava la zia Katerine annotarsi qualcosa sul suo notes, le dita agili seguivano lo schermo più lente del suo pensiero scintillante, correvano frenetiche da un tasto all’altro per seguire le evoluzioni brillanti della sua mente eletta, le labbra si muovevano impercettibili, piccole scossette nervose involontarie come il gioco delle gambe aggraziate scavallanti e accavallanti rapide senza intenti seduttivi. Solleva il suo sguardo, dolci occhi neri sopra di me, le sue labbra articolano cosa ? non decifro, il suo flusso cerebrale per me inconnu, bella parola, la sua bella lingua, la parlano dove insegna, umetta le labbra rosa, giovani brillanti spiriti eletti ben vestiti e puliti e aulenti di acqua di colonia, capelli lisci e biondi pettinati all’indietro o corti corti come piacciono a lei, aule sterminate in sterminata quiete agli alti piani di quei palazzi di vetro, luce piena, aria pura al di sopra di tutto, nomi sconosciuti, cervelli sani su volti sani. Lei mi sorride a tratti, le sue ciglia sottili danzano in un’onda di luce, scorre il mondo attorno a noi e noi scorriamo con esso, silenziosi accoliti ci scrutano mi pare, mi interessano gli sguardi di chi non mi conosce, la città ormai alle spalle, il signore padre lontano ai suoi consueti offici, declina il suo afflato marcio, l’olezzo stagnante di Rue Cazière, la foresta sotto di noi il cielo grigio sopra di noi.
Stiamo per attraversare il lago di Balko. Katerine distese la sua mano, le dita bianche e magre e lisce con un gesto ampio indicava una macchia scura in rapido avvicinamento, il monobinario seguì una parabola arcuata, scese dolcemente e inesorabile fino a penetrare la superficie scura e increspata del grande bacino artificiale di Balko.
Il treno scivolò nell’acqua marcia senza sollevare spruzzi o quasi la placida immonda distesa di mota del bacino parve imperturbabile dall’evento, il vasto acquitrino sembrò turbato appena da una sinistra brezza velenosa che trasportava polveri metalliche da Est e da sgraziate grida di creature volanti ai margini del bacino lungo le sponde terrose scoscese.
Il treno procedeva sotto le acque sprofondando sul fondo e percorrendolo fino ad un tunnel scavato nella sponda sud. Le luci del treno si erano accese appena un istante prima dell’impatto con l’acqua, acque buie, come sprofondare in un pozzo nero senza luce abitato da creature mutanti non ancora catalogate del tutto.
Katerine spiegava a Lukas e a Lea delle ricerche condotte dalla sua collega Sylvia Gogol al dipartimento di scienze in-naturali, battuta che si scambiano sempre lì fra colleghi e che ormai non fa nemmeno sorridere, l’abitudine ha attenuato la forza liberatrice del joke, spiega Katerine, le ricerche hanno condotto la bella Sylvia a catalogare circa sessanta nuove specie di creature marine, non proprio pesci hanno caratteristiche ibride, molti sono pseudo mammiferi altri sono anfibi anche se prevalentemente acquatici, la maggior parte ha un aspetto mostruoso sono privi di parti decorative perché vivono in acque buie, sono cieche e questo spiega perché salgono raramente sulle rive del bacino, ci sono però nell’archivio di Sylvia alcune immagini di queste nuove specie anfibie fotografate nei rari momenti in cui escono dall’acqua, sul notes di Katerine scorrono immagini di grossi corpi viscidi dotati di piccole zampe palmate e lunghe code creature simili a serpenti dai corpi però tozzi dotati di piccole zampe, la maggior parte delle creature non ha occhi ma delle pinne o delle parti cornee dotate di sensori, hanno sviluppato degli organi sensori particolari, sonar o apparati magnetici, Sylvia è certa che le specie catalogate che vivono in questo bacino sono solo il dieci per cento di quelle esistenti e presto organizzerà una spedizione in batisfera per documentarle tutte, ha bisogno di grossi investimenti e quei ‘gentiluomini’ del Ministero non sembrano sentire ragioni, vogliono in cambio servigi di varia natura che a quanto pare Sylvia non vuole loro concedere per il momento.
Mentre Katerine parlava un grosso corpo privo di escrescenze urtò contro il treno, sul vetro si spalmò una massa molle grigiastra macchiettata che rimbalzò elastica e fu riassorbita immediatamente dalle tenebre.
Il treno monorotaia Bayer entrò nel lungo tunnel che sbucava dopo una corsa di venti chilometri sopra una foresta percorsa dal canale ovest che faceva un lungo giro per evitare il bacino di Balko e si congiungeva con gli altri canali provenienti da Desperia creando il gigantesco canale che terminava nei bacini del CSRRO.
A notte inoltrata attardata, quasi all’alba, alba rugiadosa diceva quella, sì quella goduriosa silfide di plastilina e valvole che mi tamburravo al bordello di place Nadier, leggeva, molto, automa intellettuale, valvole molto cerebrali, scopate inumane, gran poppe sovrannaturali, culo sporgente regolabile alla bisogna, un modello davvero optimum, chiedo venia dice mentre me lo succhia, le voglio così io cerebrali intellettualoidi colte mi piaccion le smandrappone del ginnasium, fotter vorrei tra le fronde rubiconde, quella Katerine o Katrine giovane gazzella studentessa in lingue, libidinosa lesbicaccia, gambe lisce e lunghe ben modellate, sapiente creatore. Giunse questo carico tremebondo, un puzzolente involto marcito galleggiava nel bacino a circa dieci metri dalla mia postazione, visore ben piazzato sopra la fronte, patta aperta e sbrindellone al vento che mi piace carezzarlo mentre lumo le professoresse sensualissime dell’accademia sul quel canale superintellettuale e c’è questa giovane Katrine che parla succulenta ancella bocca da pompini celestiali e regge il moccolo alla matura professoressa si fissano negli occhi lesbicacce e la mano mi scende al manicotto armeggia su e giù. Lontano affiora questo pacco rigonfio di pus, esalazioni mefitiche della putrefazione avanzata tardo avanzata, e allora mi levo, mi sollevo con le mie forti mani, impreziosite puntellate da innesti metallici, quel dottor Kappler lì alla clinica innesti e protesi lavora divinamente si fa pagare e bene con quei suoi occhi protesici, naso da untore. Affiora di tutto da queste parti, il bacino erutta di ogni schifezza o(h) immonda creatura, discarica subumana, mostriciattoli a iosa quanti ne volete, intere equipe di in-naturalisti qui da noi, notte e dì, belle scienziate porche e poppute come piacciono a me, me le scopo con gli occhi, mi imprimono la retina per giorni e mi meno il tallero con le loro immagini morenti. Prendo il trabiccolo acquatico e mi inoltro nel putrido stagno circondato da merda e merda, almeno lo fosse, talvolta agognerei sapere che è merda solo, il vero scacco di un uomo è l’inconnu, speranza direbbe quel crapone del piano superiore, si dà un sacco di arie perché lui la notte dorme, tutta qui la scrematura tra i servi e i padroni, noi vegliamo notte e dì, loro scendono al mattino freschi e radiosi barba ben fatta aulenti di colonia e di donna, fica profumata, fica di carne voglio dire la moglie e la figlia se le impalma tutte e due beato angelico trombator celeste, ci ha un gran manicone, mi dicono, le donne ci vanno matte, un manicone protesico grosso da far paura sgonfiabile a quanto dice quel mignotto di Karl giù all’altro gabbiotto, frocio malcagato, dorme della grossa già lo so non lo sveglia nemmeno un megatone che gli esplode su per il suo grosso deretano puzzolente. Armeggio nell’acqua con il mezzo marinaio, delle schifose larve si attaccano alla punta metallica cominciano a divorarla più in là dei rumori di strisciamenti e sciacquettii orrendi roba da farti venire i brividi nelle ossa in quel mare di putridume, aggancio il sacco purulento al trabiccolo galleggiante, mi muovo nel fetore bestiale, un puzzo che sembra quello del biscotto di Karl che non si lava mai lui, mica come herr doctor lui si lava sempre a getto continuo si lava con l’acqua di rose si innaffia tutto il giorno sempre lindo e profumato come una ancella troia, e quella sua figlia gran culo ninfa divina fica dolce come zucchero candito ci scommetto che glielo lappa di continuo, non ci scendono mai qui sotto puzza di morte e poi tutti questi mostri affioranti. Tiro su il pacco gonfio, pregusto il tanfo infernale, ci sono escrescenze colme di gas nauseabondi, prendo la maschera antigas appesa al mio avamposto sotto il visore su cui appare una fulgida smandrappa in guepiere, un nuovo arrivo al gran bordello in place Nadier “ogni settimana un nuovo modello, dai laboratori Garnier fulgide creature viziose, per le vostre voglie inconfessabili”, gli spot glieli scrivono degli ebeti market tari, analfabeti di ritorno, tanto è la fica quello che conta, vedono quelle poppe megasferiche, bocce gonfie come angurie mutanti e non distinguono una sillaba, me lo rivedo ancora nei miei incubi il professore Golpius al liceo a faticare a ficcarci nel cerebro i concetti giusti intorno alla sillabazione, gli accenti, i verbi, la concordanza dei tempi, fiato sprecato, coff coff, mai sprecare il fiato il pensiero sfianca me lo diceva sempre quel pazzo di mio zio che crepi all’altro mondo figlio di un cane, il puzzo che si sprigiona da questo sacco di merda è una cosa da non credere, dentro c’è un cadavere marcio putrido, sembra fatto di formaggio fuso, uno schifo in cui galleggia un occhiaccio bianco morto, qui abbiamo un cadavere umano o roba simile, urge avvisare il crapone, urge svegliarlo di colpo, ridestarlo dai suoi allettanti sogni bagnati di umori femminili, me lo vedo sdraiato nudo con il suo pennellone gonfiabile tra le sue femmine saziate, fottuto nababbo, lo chiamo ora, questa è una cosa che deve vedere, assolutamente …
Uscito dal tunnel il treno monorotaia della Bayer attraversò una foresta di rovine, città distrutte e abbandonate, si specchiavano le rovine sui vetri del treno che all’esterno era una superficie di puro specchio, scorrevano sopra il cilindro metallico e vetroso in corsa furente distorte dalla convessità figure scheletriche di palazzi sventrati violentati da piogge acide, piante, vegetazione mutante, funghi di ogni specie e colore, giganteggiavano curve vecchie torri industriali ciminiere incrinate lievemente cadenti, pezzi di casupole, gigantesche briciole di mostruosi agglomerati urbani, impianti industriali trasfigurati da una natura malata e tossica verde scura marrone marcio. Lukas, gli occhi cupi incollati al vetro le sue dita prementi sulla superficie fredda si poneva domande a ripetizione percepiva il profumo inebriante del corpo di Katerine a pochi centimetri da lui sporta in avanti con il capo in prossimità del suo, l’alito gentile alla cannella lascito di un pasto esotico consumato in fretta assieme ad uno dei suoi famosi cocktail ingollato di colpo vitamine a iosa, non c’è niente di meglio, dice lei, ma la signora madre scuote sempre il capo quando zia inizia uno di quei discorsi sulla salute le forze energetiche, il benessere esteriore riflesso di quello interiore profondo e non viceversa, l’inganno dei tempi, l’inganno del tempo, dice sempre zia alludendo a fatti circostanze e persone lontane ma molto vicine alla sua anima e ai suoi ideali ardenti.
Antiche civiltà perdute, non così antiche in realtà.
Sento le sue parole accanto a me, si confondono con il suo odore, il suono e l’odore sono in me percepiti in tempi diversi, giunge prima il suono ma l’odore è più avvolgente e mi confonde, mi stordisce, attenua il peso e il senso delle parole.
Non credo di conoscere questa città morta.
La voce di Lea ha il colore della noia, blu smorto o tutt’al più grigio pallido, apre la sua bella bocca morbida come per fare un sospiro lancia occhiate languide agli unici due uomini nella carrozza, non incontrano del tutto i suoi gusti sessuali ma la noia di quell’inutile viaggio in compagnia dell’inutile sorella saccente e di quel figliolo fardello pesante della sua perenne giovinezza ostacolo alla sua libera e gioiosa riscoperta sessuale la inducono ad accontentarsi, sul display accanto una mappa del treno una confortevole toilette completa di bagno turco, vasca con idromassaggio e sauna ogni due carrozze spazi utili e rilassanti per parentesi erotiche di viaggio.
Le immagini che vedi scorrere hanno a che fare con il tempo, il tempo è un concetto insidioso, un giorno forse ti sarà più chiaro tutto, tempo fa teorie proibite di un nome che devi subito dimenticare, Malnaus, sosteneva che il tempo è un’illusione un’astrazione economica il tempo è una convenzione sociale determinata il potere da sempre nasconde le impalcature e quel che può ricondurre all’artificio un puro artificio retorico ordinare ecco a cosa serve.
La voce di Katerine si era fatta bassa e sussurrante al suo orecchio, la zia parlava e teneva d’occhio Lea ferma e persa in pensieri lussuriosi, le mani accarezzavano le lunghe secche gambe velate, la bella bocca dischiusa, gli occhi semiaperti rivolti ai due passeggeri maschili seduti più in là.
Il potere, quando parlo del potere non devi pensare necessariamente al gouvernement, non è tutto lì il potere e non è tutto altrove, il potere è immanente vive nel fondo appartato nascosto eppure vigile apparentemente morto, un giorno ti sarà più chiaro tutto nipote caro.
Katerine Bouvard nel parlare al nipote aveva eliminato le pause tra le parole, tolto la punteggiatura, un metodo utilizzato nei frettolosi estemporanei convegni dei circoli ereticali da lei frequentati in gioventù, questa tecnica permetteva di comunicare più contenuti nel minor tempo possibile, richiedeva memoria e capacità notevoli di intuizione di riassemblaggio semantico, tecniche più sofisticate usavano anche spostare le parole o usare neologismi intellegibili solo ad iniziati.
Tra poco entreremo nel CSRRO vedrai cose molto strane o forse no.
In quel momento il treno monorotaia della Bayer incrociò il grande canale proveniente dalla città di Desperia, più a est il canale ovest era confluito nel canale sud che aveva già ricevuto le acque del canale est, il fiume impetuoso e vasto che ne era risultato procedeva fino al CSRRO dove veniva imbrigliato in mille canali fino alle vasche di smistamento e di recupero, il grosso dell’acqua già scremato dalle sozzure veniva condotto alla centrale idroelettrica che produceva energia per la parte amministrativa della città.
Il CSRRO era un grosso parallelepipedo di cemento e acciaio, galleggiava al centro di un grande bacino di acque stagnanti, conficcata nel rettangolo centrale una torre alta e squadrata provvista di pista per elicoleotteri, la stazione del treno monorotaia entrava nel parallelepipedo e si fermava di fronte al museo del centro e alla sede della direzione. Nella torre abitavano gli scienziati e il loro coordinatore l’anziano professor Adenat con la famiglia.
Gli ospiti del centro venivano accolti da un guardiano e da un responsabile scientifico e guidati dai due in un percorso prestabilito che costava piuttosto caro, l’equivalente di una mezza retribuzione di un guardiano del centro, cifra che veniva immancabilmente commentata con enorme disappunto dai guardiani più anziani e schifati. Il percorso guidato iniziava dalle vasche di prima scrematura, le vasche più grandi del bacino, l’acqua arrivava dai canali ancora intera, così si esprimevano i guardiani.
Dal treno scesero solo Lukas, la madre e Katerine, gli altri passeggeri procedevano presso le destinazioni successive, altre città Glaxos, Nuova Moon e Spleen.
Un uomo eccezionalmente alto, almeno due metri e cinquanta si fece avanti seguito da un nanerottolo simile ad una botticella con braccia e gambe, le gambe cortissime, l’uomo gigante camminava curvo e aveva braccia lunghissime che distese arrivavano alle ginocchia, la testa del gigante era corta e rotonda di dimensioni troppo ridotte per un corpo così imponente, il nanerottolo aveva invece una testa enorme e braccia che sembravano pinne tanto erano attaccate al petto, i volti erano identici e ciò li qualificava come fratelli. Il gigante si presentò come dottor Louis Vousier, il nano si presentò come guardiano Marcel Vousier.
Dopo un istante di silenzio entrambi scoppiarono a ridere, il nano si strappò dal volto la pelle che rivelò la sua natura di maschera di lattice con le sembianze del gigante, sotto la maschera apparve un volto rugoso e raggrinzito come un frutto lasciato a marcire e occhi neri e collerici.
Scusate ospiti facciamo sempre questa gag, ci sembra divertente non è vero Jim ?
Il gigante annuì.
Il nano disse che si chiamava Jacques Vousier ed era il dottore incaricato di illustrare scientificamente le tecnologie impiegate al centro ai signori ospiti. Il gigante si chiamava Jim Carson ed era un guardiano, lavorava qui da alcuni anni.
Il nostro percorso inizia alle vasche di prima scrematura dove le acque arrivano non ancora depurate dai liquami e da