Offre tantissimi spunti il dialogo che Papa Francesco ha avuto con i giornalisti sul recente volo dal Brasile a Roma, durante il quale il Pontefice ha risposto a decine di domande, da quelle personali a quelle sui casi più delicati e scottanti.
Una delle impressioni che si ha leggendo le risposte che ha dato è che la maggioranza dei vaticanisti italiani, appollaiati nelle redazioni dei quotidiani, dovrebbero licenziarsi. Perché solo i politici che sbagliano o raccontano menzogne dovrebbero lasciare la poltrona? Durante il Conclave del marzo scorso hanno scritto di tutto per settimane e settimane: previsioni, papabili, quote, cordate di potere, coalizioni per eleggere il tal cardinale ecc. Ce ne fosse stato uno che abbia anche solo citato il card. Bergoglio. Evidentemente gli alti prelati, molto più furbi di loro, non hanno lasciato trapelare nulla, proteggendo così la nomina di Papa Francesco.
Che le fonti da cui traggono le notizie i vari Politi, Rodari, Tecce, Ansaldo, Franco ecc. -rigorosamente anonime- non esistano o non sappiano nulla è sotto gli occhi di tutti. Un esempio è il grande ritornello della “resistenza della Curia romana”. I vaticanisti si sono accordati per descrivere la Curia di Roma come un nido di vipere, di malaffare e di potere, guidata da uomini ignavi e assetati di sangue e di denaro.
Il leader di questa cordata è ovviamente Marco Politi, sedicente vaticanista de “Il Fatto Quotidiano” (sedicente perché un vaticanista dovrebbe riportare tutte le notizie e non solo quelle che ritiene imbarazzanti per il Vaticano, come invece fa lui). Il 12 giugno 2013 parlava delle «fortissime resistenze con cui il pontefice argentino deve misurarsi per riportare trasparenza della Curia». Un ambiente che secondo Politi è un «microtessuto di interessi e di potere». Il giorno dopo, non ancora sazio, scrive dello «zoccolo conservatore della Curia che resiste» e profetizza il successore di Bertone, ovviamente sbagliato come erano sbagliati i suoi papabili durante il Conclave. Pochi giorni dopo la sua macchina del fango si concentra sulla «palude conservatrice annidata in Vaticano e nella Chiesa universale, seppure provvisoriamente azzittita dal fallimento del pontificato ratzingeriano».
Carlo Tecce, aggressivo laicista sempre de “Il Fatto” si inventa una particolare situazione in cui starebbe il Vaticano e parla di «governo iperterreno che resiste in Curia». Paolo Rodari, che da quando è passato a “Repubblica” ha capito che per portare a casa la pagnotta deve aggredire anche lui la Chiesa, ha definito la Curia come «potente e litigiosa» descrivendo i movimenti all’interno e i rapporti tra i vari cardinali come si fa in un thriller giallo di spie e contro-spie. Massimo Franco de “Il Corriere”, che continua a pubblicare libri scandalistici anticlericali che ben pochi si filano (più oratori che uditori nell’ultima presentazione), non si discosta dalla linea guida e scrive di «Curia inquieta» e «”partito della Curia” umiliato in Conclave». Hans Küng, l’ormai fallito teologo anti-Ratzinger dimenticato anche dai media dopo l’elezione di Bergoglio, descrive dall’estero la Curia romana in questo modo: «nepotismo e favoreggiamento dei parenti, avidità, corruzione e affari finanziari dubbi», difficile da riformare a causa delle «potenti controforze alle quali sarà necessario far fronte».
Benissimo, questa è la descrizione della Curia dei nostri vaticanisti preferiti. Sono però bastate poche parole di Bergoglio per demolire tutto il castello di fantasia che hanno costruito in questi mesi: «I cambiamenti [della Curia, nda] sono stati chiesti dai cardinali prima del conclave, e poi c’è ciò che viene dalla mia personalità. Ci sono santi in Curia, vescovi, preti e laici, gente che lavora. Tanti che vanno dai poveri di nascosto o che nel tempo libero vanno in qualche chiesa e esercitare il ministero. Poi c’è anche qualcuno che non è tanto santo e questi casi fanno rumore perché, come sapete, fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce. A me provoca dolore quando accadono queste cose. Credo che la Curia è un po’ calata rispetto al livello che aveva un tempo, quando c’erano alcuni vecchi curiali fedeli che facevano il loro lavoro. Abbiamo bisogno del profilo dei vecchi curiali. Se c’è resistenza, ancora non l’ho vista. È vero che non ho fatto tante cose, ma ho trovato aiuto, gente leale. A me piace la gente che mi dice: “Io non sono d’accordo”. Questi sono i collaboratori leali. Poi ci sono quelli che davanti a te dicono su tutto “che bello”, e poi magari quando escono dicono il contrario. Ma di questi non ne ho ancora trovati». Ecco dunque come stanno le cose. Nessuna resistenza, nessun malaffare, un calo di efficacia ma tanta santità e tanta lealtà. E anche qualcuno, come negarlo, che santo non è…ma d’altra parte accade anche in qualsiasi contesto lavorativo dove c’è di mezzo il potere, comprese le redazioni dei quotidiani.
Tanti hanno detto che quando Francesco si definisce “solo” come vescovo di Roma è perché intende desacralizzare il papato, secolarizzarlo. Il solito Politi ci spiega ad esempio: «si presenta solo come “vescovo di Roma” e archivia l’aura onnipotente di Pontefice Massimo. Bergoglio non è il primo papa globale – Wojtyla ha segnato il salto di qualità – ma è il primo papa che scarta l’ideologia dell’onnipotenza». Francesco smentisce puntualmente questa ricostruzione: ««Non si deve leggere al di là delle parole. Il Papa è vescovo, è vescovo di Roma e da lì viene tutto. È il primo titolo, poi vengono gli altri titoli. Ma pensare che questo voglia dire che il successore di Pietro è un “primus inter pares” significa andare oltre. Sottolineare il primo titolo, quello di vescovo di Roma, può favorire un po’ l’ecumenismo».
Come non parlare, infine, dell’appartamento papale rifiutato da Francesco, a cui ha preferito il residence a Santa Marta? Un cavallo di battaglia dei nostri vaticanisti: secondo Politi è una «suprema stanza dei bottoni, accessibile solo a pochi eletti», più avanti usando tutta la sua sterminata fantasia lo definirà come «centro di un potere di impronta divina» che permette «alla burocrazia vaticana di ammantarsi di pretese di infallibilità». Tanti altri quotidiani parlano del “lussuoso appartamento papale” rifiutato in nome dell’austerità. Anche in questo caso Papa Francesco ha smentito tutti: «non potrei vivere da solo nel palazzo. L’appartamento papale è grande ma non è lussuoso. Ma io non posso vivere da solo con un piccolo gruppetto di persone. Ho bisogno di vivere con gente, di trovare gente. Per questo ho detto che sono motivi “psichiatrici”: psicologicamente non potevo e ognuno deve partire dal suo modo di essere. Comunque anche gli appartamenti dei cardinali sono austeri, quelli che conosco».
Tutto qui. Le fantasie anticlericali di Politi, Rodari, Tecce, Franco e amici vari, sgretolate in pochi secondi. Ma siamo certi che faranno finta di nulla e andranno avanti per la loro strada: se i fatti negano la teoria, tanto peggio per i fatti.
La redazione