In mostra al MAUTO, Retròvisioni: fotografie, allestimento e collezione
Giovedì 26 marzo si è inaugurata al Museo Nazionale dell’Automobile “Avv. Giovanni Agnelli” Retròvisioni. Fotografie di Alberto Dilillo.
Il Museo Nazionale dell’Automobile, un’eccellenza della città di Torino, simbolo e custode della creatività artigiana e industriale legata al mondo dell’automobile, ospita questa singolare mostra strutturata in tre sezioni: le fotografie del designer e fotografo Alberto Dilillo, un allestimento che racconta l’operazione di restauro di un’auto d’epoca e infine la meravigliosa collezione di auto storiche dell’architetto Corrado Lopresto, che affascina per la bellezza e l’eleganza di veicoli senza tempo, che ieri come oggi trasmettono il fascino della perfezione in termini di stile e design.
Photo credits: Sebastiano Strano.
Retròvisioni. Fotografie di Alberto Dilillo
Alberto Dilillo, responsabile del Centro Stile Lancia, è un designer di fama internazionale. Tra i suoi progetti, troviamo la concept Lancia Fulvia Coupé e la Ypsilon del 2003, la Fiat Bravo del 2007 e la Ypsilon del 2011. In mostra al MAUTO trentuno fotografie del designer e fotografo, scattate nel cimitero d’auto storiche di Kaufdorf, in Svizzera, appena pochi giorni prima del suo definitivo smantellamento. Trentuno immagini di «pezzi seriali trasformati in pezzi unici: velature, sedimentazioni, corrosioni e disgregazioni su carcasse inorganiche».
Sembra un ossimoro che un famoso designer abbia scelto di puntare l’obiettivo della propria macchina fotografica su vetture abbandonate, usurate dal tempo, ricoperte dalla polvere e dalla vegetazione. Dietro questa scelta vi è una storia.
«Una Citroën abbandonata sul lato di una strada. Confrontare con “Une charogne”. Ecco a una svolta, spuntare la macchina morta, la carogna-automobile, e si può vedere la sua decomposizione, la ruggine, gli sfondamenti, i visceri esposti, manca però il suono, la strana musica degli insetti e, soprattutto, l’odore: si tratta di una decomposizione che ha qualcosa di metafisico, più immateriale che materiale, di un automa che ha vissuto, che ha sentito il “conatus” senza mai acquistare una caratteristica umana, e che disumanamente, come ha vissuto, si decompone».
Guido Ceronetti – Il silenzio del corpo Adelphi, 1979
La lettura di questo passo affascinò profondamente Alberto Dilillo e s’impresse nella sua memoria come una potente visione. «Anni dopo», racconta il designer e fotografo, «m’imbattei in un cimitero d’auto poco prima che venisse smantellato: tutto poi sarebbe svanito per sempre». Da qui il desiderio di immortalare «quell’opera monumentale e poetica, dalla stesura delicata e suggestiva», creata dal tempo con il solo strumento della natura.
Le immagini di Dilillo veicolano alcuni interrogativi presentati agli osservatori anche attraverso didascalie, aforismi e citazioni. «Quale metamorfosi attende (…) tutte quelle cose che l’uomo dissemina, gettandole, dopo averle così tanto immaginate, realizzate, desiderate e possedute? Del resto quelli erano solo oggetti usati, ormai privati di quelle cure, anche smaniose, che li conservavano». Questo è il quesito da cui prende avvio la mostra, l’interrogativo di senso proposto da Dilillo.
Retròvisioni tra spunti e provocazione
C’è un fatto che salta agli occhi riflettendo sulla mostra di Dilillo: le fotografie da lui scattate sono l’unica cosa che è rimasta di un luogo che non esiste più. Il cimitero di Kaufdorf non ospitava soltanto automobili e pezzi seriali, ma anche storie. Le storie di coloro che avevano guidato quelle vetture e le storie che quelle vetture potevano evocare.
Cosa rimarrà tra cent’anni quando i cimiteri d’auto forse non esisteranno più? Che senso hanno l’operazione di restauro di un’auto d’epoca e il collezionismo se i luoghi della memoria e con essi le storie che custodivano verranno smantellati? Saranno solo pezzi da museo? Questi gli interrogativi reconditi che quelle immagini sembrano sottacere, le domande che evocano in chi ha visto quelle vetture soprattutto nei film in bianco e nero e dà già per scontato che un domani delle macchine fabbricate oggi, il cui fascino è indubbiamente minore rispetto al fascino retrò delle auto storiche, non importerà niente a nessuno.
Eppure lo sforzo di conservare il passato e farne memoria è innegabile: ciascuno possiede almeno una storia che ha un significato ed è quel significato, quel particulier, che ognuno prova a tramandare. Se dietro a una Buick blu con volante in madreperla targata New York, una foto di una Rolls Royce, un sedile in pelle di una Citroën DS si cela una storia, il desiderio di mantenerla in vita e tramandarla è forte. È il movente che anima chi, con motivazioni forse ancora più forti delle nostre, ha scattato fotografie, è un collezionista, o si dedica al lavoro lunghissimo e certosino del restauro.
Non a caso la mostra fotografica di Dilillo è corredata da alcuni pezzi unici della meravigliosa collezione di auto storiche di Corrado Lopresto e da un allestimento che racconta l’operazione di restauro di un’auto d’epoca, eseguita con un’eccezionale attenzione ai dettagli e al mantenimento del maggior numero di componenti originali. Si ha bisogno di recuperare quelle vetture e quei pezzi seriali, perché essi sono un pezzo di storia e a loro volta veicolano storie.
Photo credits: Sebastiano Strano.
Dillilo scrive: «È come se, ormai, non servisse più tanto sapere di quale oggetto in disfacimento si tratti, giacché completamente sprofondato nell’oblio ma, piuttosto, sentire quali riflessioni o emozioni possano affiorare». A noi ha regalato queste.
La mostra Retròvisioni. Fotografie di Alberto Dilillo sarà ospitata al Museo Nazionale dell’Automobile fino a domenica 17 maggio 2015.
Il Museo è aperto il lunedì dalle 10 alle 14; il martedì dalle 14 alle 19; il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 10 alle 19; il venerdì e il sabato dalle 10 alle 21.
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