Magazine Africa

Ricerca d'archivio /Il passato del Mozambico aiuta la comprensione del presente

Creato il 01 giugno 2014 da Marianna06

          Padre_filipe_couto_1

 

Intervista con il rettore Filipe J. Couto

Per non essere accattoni

All’università cattolica abbiamo soprattutto incontrato padre Filipe J. Couto, rettore magnifico: nell’arco di 13 giorni ci ha accompagnati in aereo, auto e treno in tutte le facoltà. Un pomeriggio a Nampula, all’ombra di un mango, ci ha rilasciato la seguente intervista. È troppo poco definire le risposte «interessanti».
Signor rettore, non c’è rosa senza spine. C’è qualche spina all’università cattolica? 
Nel 1997 c’è stato uno sciopero generale nella facoltà di diritto, perché il decano, il vicedecano e tre docenti portoghesi si erano dimessi. E questo ad appena un anno dall’apertura dell’università. 
Cos’è avvenuto? 
È avvenuto che i suddetti docenti, non concordando con la linea del rettore, si sono appellati al gran cancelliere dell’università, l’arcivescovo Jaime Pedro Gonçalves. Ma questi ha risposto: non posso rimuovere il rettore per causa vostra, e gli interessati in 24 ore si sono dimessi. Poi gli studenti, per evitare ulteriore caos, si sono schierati con il rettore. 
L’università cattolica è nata per ridurre l’«asimmetria» rappresentata anche dall’università statale di Maputo. Oggi come sono i rapporti fra i due atenei? 
Sono come le mani del corpo: fra i due atenei c’è collaborazione. L’università statale considera quella cattolica un fattore di sviluppo, che coopera con il governo ed altri enti dello stato al bene comune. E l’università cattolica non intende staccarsi dal contesto nazionale: proprio come una mano nel corpo umano. La statale opera nel sud del paese (Maputo e dintorni); invece la cattolica lavora nel centronord. Però l’università cattolica è presente anche a Maputo con l’istituto «Maria, madre dell’Africa», dove si insegna teologia della vita consacrata e si tengono corsi per educatori sociali. 
Oggi il Mozambico necessita di esperti che sappiano anche rimboccarsi le maniche... 
Ben detto! Proprio a questo mira l’università cattolica. Ecco perché si stabilisce il periodo di studio: da un minimo di quattro anni ad un massimo di sette. Poi si deve andare a lavorare come impiegati statali o nel settore privato come imprenditori. Vogliamo che l’università sia legata al mondo del lavoro in genere: scuole, negozi, imprese... Una università aperta anche ad altri paesi: Malawi, Zimbabwe, Sudafrica, Tanzania. 
La «cattolica» è frequentata anche da protestanti, musulmani, induisti. Quale clima interreligioso si respira? 
Ieri a Nampula siamo passati davanti ad una università islamica, che ha iniziato con una piccola facoltà di agraria ed economia. Che Allah l’aiuti! Dobbiamo tenere conto anche di questa esperienza: per esempio, non vedo perché qualche nostro professore non possa insegnare anche in un centro musulmano. 
Allora in che consiste l’«identità cattolica» dell’università? 
L’università si ispira alla dichiarazione pontificia Ex corde Ecclesiae. Premesso che in tutte le facoltà si parla di Gesù Cristo e si insegna etica, occorre anche ricordare che un cattolico perde la sua identità se si isola: in tale caso, non è più cattolico, ma settario. L’identità cattolica comporta assai di più della recita del breviario ad un’ora precisa, della lectio divina... Hai presente l’esperienza di san Pietro con Cornelio? Sì, ma ricordala tu ai lettori della rivista. 
Secondo gli Atti degli apostoli (10, 9-30), un giorno san Pietro vede un lenzuolo con degli animali ritenuti impuri dagli ebrei osservanti, e una voce che gli dice: mangia. Ma lui, da bravo ebreo, risponde: no. E la voce: tu non devi considerare impuro ciò che Dio ha creato. Poi Pietro incontra Cornelio, un romano pagano, animato però dallo Spirito Santo. L’apostolo dice a se stesso: io non posso negargli il battesimo solo perché non è ebreo. 
Che c’entra questo con l’identità cattolica? 
C’entra, c’entra! A volte chi vuole salvare l’identità cattolica è un credente pigro, chiuso in se stesso, non aperto alla voce dello Spirito Santo, e considera impuro ciò che impuro non è. 
Per accedere all’università uno studente deve pagare ogni anno da 500 a 1.000 euro, secondo le facoltà. Non sono cifre alte in un paese povero? 
L’università fa tutto il possibile per abbassare i costi e venire incontro agli studenti bisognosi. Ma, per aiutare, ci vogliono mezzi: l’università cattolica non ne possiede molti. Allora ben vengano le borse di studio! Se la chiesa ha dei soldi, ben vengano, anche perché l’università non li trova per strada... E senza denari, non è possibile comprare libri, avere buoni professori... Però mi domando: fino a quando dobbiamo continuare a dare e dare? Si raccomanda l’autonomia economica nel terzo mondo; ma non basta auspicarla, bisogna farla... Oggi abbiamo 2.300 studenti (che pagano facendo sacrifici), e si va avanti. 
L’università cattolica impressiona positivamente anche per la disciplina che vi regna... Qual è l’atteggiamento di fronte a comportamenti sessuali che possono causare sieropositività? 
Siamo severi e raccomandiamo il massimo controllo di se stessi. Tuttavia il sieropositivo non è escluso dall’università, ma gli si suggerisce come curarsi. 
Entrando all’università, si richiede allo studente il test dell’Aids? 
Lo si consiglia con tatto. Molti studenti vi si sottopongono liberamente. Però i testimoni di Geova, contrari a trasfusioni di sangue, rifiutano il test. 
Come vedi il futuro dell’università cattolica? 
La speranza è di poter contare su persone competenti, non fanatiche, che credono in ciò che fanno: persone che con la loro presenza diano un’impronta all’università. L’ho detto anche al cardinale Saraiva, ex rettore della pontificia università urbaniana (Roma), prefetto delle «cause dei santi». Egli mi ha risposto: questo è «il» problema di tutte le università cattoliche. Inoltre vorrei che all’università ci fossero più insegnanti seri di etica che riflettano profondamente. 
L’etica dell’«homo ludens» (la persona che gioca) o quella dell’«homo faber» (la persona che costruisce)? 
Soprattutto l’etica dell’homo faber. La Germania, sia in ambito cattolico che protestante, ha dei consiglieri di etica, e ritiene che nel rapporto fra capitale e forza-lavoro la presenza di tali consiglieri debba essere del 50% in ambo le parti. Infine all’università noi dovremmo avere docenti apartitici, dediti solo all’insegnamento. 
Tu hai sposato il pensiero del partito Frelimo, ne conosci tutti i leaders del passato e presente. Qual è la tua posizione, se l’università non deve schierarsi con alcun partito? 
Io non sono il segretario di un partito; lavoro in una università della chiesa cattolica. No!... In Italia a chi ti chiede «per quale partito voti?», tu giustamente puoi rispondere che il voto è segreto... All’università io non faccio propaganda per il Frelimo. Ma questo non significa che non abbia una preferenza di partito. Se la mia posizione politica non è gradita, i vescovi mi possono sempre rimuovere. I vescovi, nello scegliermi come rettore, non mi hanno detto niente. 
Mia Couto ha scritto: «Un tempo, quando c’era una visita di politici o stranieri, avevamo l’ordine di non mostrare un paese mendicante... Ora invece bisogna mostrare la popolazione con la fame e le malattie contagiose. La nostra miseria sta diventando positiva. Per vivere in un paese di mendicanti, è necessario esibire le ferite, mostrare i bambini con le ossa fuori». Rettore Couto, qual è il tuo parere al riguardo? 
Il romanziere Mia Couto colpisce nel segno giusto... L’università cattolica non è solo una sfida alla povertà, ma anche al comportamento da mendicanti. 
 
Quindi hai dimenticato la tua appartenenza al Frelimo! 
No!... In Italia a chi ti chiede «per quale partito voti?», tu giustamente puoi rispondere che il voto è segreto... All’università io non faccio propaganda per il Frelimo. Ma questo non significa che non abbia una preferenza di partito. Se la mia posizione politica non è gradita, i vescovi mi possono sempre rimuovere. I vescovi, nello scegliermi come rettore, non mi hanno detto niente. 
Mia Couto ha scritto: «Un tempo, quando c’era una visita di politici o stranieri, avevamo l’ordine di non mostrare un paese mendicante... Ora invece bisogna mostrare la popolazione con la fame e le malattie contagiose. La nostra miseria sta diventando positiva. Per vivere in un paese di mendicanti, è necessario esibire le ferite, mostrare i bambini con le ossa fuori». Rettore Couto, qual è il tuo parere al riguardo? 
Il romanziere Mia Couto colpisce nel segno giusto... L’università cattolica non è solo una sfida alla povertà, ma anche al comportamento da mendicanti.

  

                                        p. Francesco Bernardi (IMC)

 a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :