Shiro (1994 - 2007)
Non ho moltissimi ricordi di quel periodo, ma quei pochi che tengo stretti nella memoria sono felici e spensierati. Avevo sei anni e fu sicuramente il giorno più bello di tutta la mia infanzia. Quella mattina mio padre e mio fratello mi portarono a vedere una cucciolata di tenerissimi e batuffolosi cagnolini bianchi.
Il giorno in cui la tua famiglia decide di prendere un cane credo che sia il momento più eccitante in assoluto nella vita di un bambino.
Erano tutti bellissimi, pronti ad aspettare un nuovo padrone. Non potevo credere che uno di quei "cosini" sarebbe appartenuto a me, che io mi sarei presa cura di un essere così dolce e bisognoso d'affetto. Alla fine scelsi il cucciolo più scatenato e rompi scatole fra tutti. Era bianco come la neve e la punta delle sue orecchie era color biscotto.
Era un Samoiedo, ed era tutto mio. Lo chiamammo Shiro.
Quel cane fu il mio compagno di giochi più fidato e crescemmo insieme.
Da cuccioli diventammo entrambi adulti. Sempre inseparabili.
Quando tornavo a casa da scuola lui era pronto ad aspettarmi e a far festa per il mio ritorno. Quando andavamo in vacanza e io mi addormentavo in auto lui mi svegliava annusandomi dolcemente il viso non appena si intravedeva la strada di casa.
Giocavamo e correvamo insieme come dei fratelli, ma di due specie diverse. Era sempre felice e quel suo amore incondizionato mi faceva sorridere in ogni momento della giornata. Accanto a lui era impossibile essere tristi. I suoi occhi trasmettevano di continuo solo gioia di vivere e un infinito affetto da voler donare alla sua nuova famiglia.
Quando un essere umano cresce cambia inevitabilmente. Un cane no. Lui resta un cucciolo per tutta la durata della sua vita.
Nel momento in cui passai dall'infanzia all'adolescenza il nostro rapporto cambiò.
Shiro aveva bisogno di me nello stesso modo di sempre, mentre io lo cercavo ormai di rado pur volendogli comunque un bene infinito. Mi bastava la sua presenza, sapevo che c'era in qualunque momento lo avessi desiderato. Mille impegni, mille cose per la testa.
Il suo posto nella mia vita si faceva sempre più stretto senza che io me ne accorgessi, e solo ora capisco quanto possa aver sofferto nel vedersi escluso dal mio mondo ogni giorno di più. Mi vedeva crescere ma non aveva la capacità per potermi urlare "resta con me, non te ne andare".
Oggi però scrivo per ricordare la sua morte.
Da tempo era malato, la vecchiaia aveva accelerato il suo corso e sembrava decisa a portarlo via da me. Troppo debole e troppo vecchio per poterlo operare, assistevo ogni giorno al bagliore che si allontanava dai suoi occhi. Io facevo finta di niente, come se fosse lo stesso cane di sempre. Esteriormente aveva quell'aspetto da cucciolo che tanto amavo, ma quando lo guardavo attentamente vedevo con chiarezza la paura che lo avvolgeva. Era cosciente di quello che gli stava capitando, ne sono sicura.
Camminava a stento perché le sue zampe non reggevano più il peso del suo corpo. Eppure quando mi vedeva arrivare la sua coda scodinzolava freneticamente come a volermi dire "finalmente sei qui, ho tanto bisogno di te". Allora restavo con lui per un po' e lo accarezzavo dolcemente facendolo calmare tra le mie braccia.
Accadde in fretta. Una mattina tornai da scuola e nessuno venne ad accogliermi al mio ritorno. Uscii in giardino in cerca di un suo abbaio, di un cenno di vita. Tornai in casa e mia madre mi spiegò che durante la mia assenza avevano dovuto portarlo d'urgenza dal veterinario, perché si era morso la lingua e aveva perso molto sangue.
Capii che non l'avrei più rivisto. Non ci eravamo nemmeno salutati. Non ci fu un addio.
Ho sempre interpretato quel gesto come una sorta di suicidio. Sapeva che io non c'ero e lui decise di andarsene proprio in quel momento perché non voleva che lo vedessi morire. Sarebbe stato troppo doloroso e lui fu più intelligente di me a capirlo.
Mi manca nelle piccole cose, mi manca quotidianamente. In fondo 13 anni insieme non sono pochi... e la sua assenza ogni tanto si fa viva dentro di me.
dalle Ricordanze di Giulia