Quest’anno la mia estate con le mani unte di crema solare appiccicate a un libro era iniziata con una mini vacanza a Punta Secca, provincia di Ragusa, terra del commissario Montalbano.
La chaise longue della foto aspettava me e Il momento è delicato di Niccolò Ammaniti (due “m” e una “n”, me lo devo ripetere ogni volta, non so voi) al B&B Dunedorate, ideale per rilassarvi, coccolarvi con un’ottima colazione e leggere cullati dal frinire delle cicale e la salsedine che arriva dritta nel naso.
Non sono una fan sfegatata di Ammaniti, sono una fan moderata. Ho letto qualche romanzo, se incontravo qui e là un suo racconto (ne scrive da vent’anni, per riviste, antologie, magazine, oltre che aver pubblicato, come sua prima opera, una raccolta Fango) mi fermavo a leggerlo. Mi piace. Mi piace il suo modo di scrivere, mi diverte, mi coinvolge. Mi piacciono le cose di cui parla, i suoi personaggi mi sono simpatici, a volte mi fanno ridere, altre volte spaccherei loro la faccia, cosa positiva, peggio se un personaggio di un romanzo o di un racconto ti è indifferente.
Per questo sono contenta di aver letto la sua ultima raccolta, quella con la copertina nera e la porzione, in linee bianche, di una porzione di città. Sono contenta che come i cantanti che hanno il loro greatest hits e il concertone a un certo punto della carriera, anche Niccolò (due “c”) abbia avuto la sua piccola grande (Einaudi Stile libero è un po’ come un concerto a San Siro) celebrazione, il regalo per i suoi venti anni da Scrittore, quelli di cui si parla sempre quando si chiacchiera di scrittori italiani.
Mi piace il suo non essere pretenzioso, ridondante, a tutti i costi “intellettuale”, come lo sono molti italici scrittori (alcuni più fuori che dentro in verità); mi piace il suo modo di raccontare storie, di ogni tipo, di ogni genere, di non fossilizzarsi sul “tardo-adolescenziale” o sullo splatter o sull’amore. In questa raccolta, come in un fast forward di questi vent’anni, si ascoltano le voci, i temi, le esperienze di Ammaniti.
A precedere alcuni racconti, una piccola introduzione di Ammaniti, che ne contestualizzano l’origine e rendono sicuramente ancora più piacevole la lettura (Giovanni Allevi, prima di un suo concerto, introduceva ogni brano con due parole di introduzione, e io lo apprezzai molto). C’è il suo primo racconto, c’è un racconto nato quando lo mandarono come “inviato” al Festival di San Remo (e ne è venuto fuori un racconto fantascientifico, tanto per rendere l’idea) e c’è la sezione Rane e girini (secondo me la migliore) con racconti contenuti in un saggio scritto con il padre, professore (In nome del figlio, per chi volesse leggerlo) che avevano lo scopo di introdurre i capitoli sull’adolescenza. Altro che gli adolescenti smidollati e privi di vocali di Moccia!
I racconti non sono tutti belli, o comunque, in quanto diversi fra loro, potrebbero non rispecchiare tutti il gusto di chi legge. Che poi, alla fine, il bello di un racconto è che se non ti piace dura poco e puoi finirlo per curiosità; se ti piace invece puoi andare a piluccarlo un’altra volta, anche dopo averlo letto, come fai con la Nutella, che ci torni sempre, anche se sai già a memoria com’è, anche se hai già chiuso e riposto il barattolo. Un ultimo cucchiaino – una seconda, terza lettura – non si rifiuta mai.