Magazine Diario personale

Ricorrenze

Da Anacronista
In epoca di social network le ricorrenze assumono una piega grottesca e inquietante. In pratica funziona così. A pasqua è tutto un morire e risorgere di santi. Il 25 aprile tutti rivoluzionari, arringatori di non meglio specificate resistenze, distributori automatici di aforismi sull'emancipazione dell'umanità cercati su google. Gente improvvisamente colta dal sacro fuoco della sovversione, partigiani da avatar. Quando muore uno scrittore, poi, tutti sottili estimatori letterari dell'opera omnia del defunto nonché autori di accorati necrologi.  Poi, il giorno dopo, tutti stronzi come prima. Mi aspetto per la pentecoste che tutti mi diventino lo spirito santo.
Ma attenzione, la saga prevede anche un antiregistro, tipo questo che sto facendo mio, cioè la critica pseudoanticonformista della ricorrenza coatta. Mi devo forse affiancare a quelli che "ehi la resistenza è ogni giorno", "baby l'amore del natale va coltivato tutto l'anno", "fate tutti schifo", ecc.? Oddio, non lo escludo. Ma il punto non sono le ricorrenze di per sé, che hanno una loro importanza. Né tanto i social in quanto tali (forse). Il punto è il genere umano. Ricorrenze o meno, ci muoviamo ancora una volta nel sinistro ambito della simulazione del proprio io ideale, nonché della schizofrenia morale ritualizzata. Perché, di grazia, se tutti sono buoni, speciali e rivoluzionari, com'è che gli stronzi li incontro solo io?
Siamo esattamente "nella realtà", però con altri mezzi. Uguale uguale, però moltiplicata, tutta concentrata su uno schermo e sparata in vena in un'unica soluzione. In questo contesto, una delle poche cose sensate rimaste sono i selfie: sincere, piccole e genuine richieste di approvazione; narcisismo che non teme di essere tale. Perché alla fine è tutto un selfie. Che, come dice una mia amica, somiglia molto al concetto di autoerotismo. (dice, ma anche questo tuo post sembra un selfie autoerotico. Può darsi...)

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