Questa settimana ho avuto un pensiero fisso: riuscire a riprodurre le pardule, dolci tradizionali pasquali fatti principalmente di ricotta. E riuscire a fare la ricotta, ovviamente.
Sono salita in groppa a Google e ho scandagliato il web alla ricerca di una ricetta che facesse al caso mio e, ingorda come al solito, ho puntato quella della doppia vegricotta delicatissima di Anto.
Così, armata di buone intenzioni, stamattina ho fatto il latte di soia: con un litro d’acqua, 90 g di soia e la mia mucca elettrica è venuto fuori circa un litro e duecento millilitri di latte.
Questa cosa devo assolutamente condividerla: ho sperimentato che l’acqua di lavaggio della soia è perfetta per i fiori, perciò la riciclo sempre versandola nei vasi.
Detto ciò, ho scaldato in un pentolino 1 cucchiaio d’acqua e 3 cucchiai di aceto di mele, ottenendo una soluzione tiepida. Ho scaldato in una pentola il latte di soia sino ad arrivare a 90° C circa, spento il fuoco, versato la soluzione di acqua e aceto e un cucchiaino raso di sale grosso. Dopo aver mescolato per bene ho coperto con un coperchio e lasciato raffreddare per un’ora.
Ecco i fiocconi dentro la pentola.
Non ho una fuscella, ma solo una forma da tofu che mi avevano spedito insieme alla mucca elettrica. L’ho foderata con un pezzo di carta assorbente e ci ho versato sopra il contenuto della pentola, molto delicatamente. Il siero l’ho raccolto in una ciotola. Ho letto che si può utilizzare per fare l’impasto del pane al posto dell’acqua e che si conserva almeno una settimana in frigorifero.
Mi aspettavo un siero non trasparente e invece è venuto giù limpidissimo. Mistero.
Rinuncio alla seconda vegricotta sperata e lascio scolare in frigo per almeno quattro ore la prima.
Finalmente è giunta l’ora: posso controllare la mia creatura. Assaggio una ditata di questi 200 g di creatura ed è proprio buona, delicata e morbida.
Anche Fidanzato conferma che il sapore è di suo gradimento, così gli annuncio: “Faccio le pardule!”
Racimolo gli ingredienti e mi metto all’opera. Non le avevo mai fatte prima, nemmeno con la ricotta di latte animale, però ho visto mia nonna farle e rifarle, criticare tutti i possibili difetti nella lavorazione e nella cottura. Perciò ho un mio modello ideale di pardula che si è formato ascoltando mia nonna.
Non ho fiducia nel DNA, ma sono un’attenta osservatrice e so bene come devo pizzicare e rigirare la pasta per creare un cestino di per quel ripieno cremoso.
Il risultato mi soddisfa e sono contentissima perchè posso finalmente metterle dentro il forno e, non appena verranno fuori, dopo le foto di rito, le addenterò e potrò dire se somigliano a quelle originali oppure no.
Mi piazzo a fianco al forno controllandole di tanto in tanto, mi gusto quel profumino invitante e tra me e me penso ” E’ fatta!”
Le osservo e vedo che si stanno gonfiando come palloncini: sono veramente buffe!
Quando le tiro fuori dal forno c’è già Fidanzato che gironzola intorno cercando di addentarne una: magari l’avesse fatto prima che facessi tutto il servizio fotografico!
Non sono carinissime !?
E invece il ripieno era semicrudo, accidenti! Peccato, perchè il sapore era praticamente identico a quelle originali, non fosse stato per quella consistenza ancora cremosa all’interno.
Che peccato, ci son rimasta proprio male e anche Fidanzato, che aspettava trepidante. Ce le siamo mangiate lo stesso, eh. Ho scoperto che la vegricotta è davvero preziosa, non intendo buttarne nemmeno un pezzetto. Magari la prossima volta la lascio colare di più. E magari la prossima volta potrò condividere questa ricetta. D’altronde son dolci pasquali, sono ancora in tempo: devo solo continuare a sperimentare.