La mia prima riflessione, a bocce ferme, è la stessa che feci nel momento in cui decisi di non recarmi alle urne: “Per l’Italia, almeno in tempi storici, non c’è niente da fare”. Un po’ a causa dei nostri vizi, che ci impediscono di esprimere una classe politica in grado di salvare l’onore nazionale, un po’ a causa della mancanza di uomini retti su cui poter fare affidamento, ma soprattutto perché ormai le sorti delle nazioni, sempre più semplici espressioni geografiche e non organismi in grado di autodeterminarsi, vengono decise da un ristretto gruppo di potere sovranazionale, che dopo aver a lungo tramato nell’ombra è ormai uscito allo scoperto, rivelandosi al mondo come il nuovo Leviatano.
L’Italia, come il resto dell’Occidente, è l’espressione di una civiltà al tramonto, quella degli stati nazionali, che alla fine del medioevo si affrancarono dai due poteri universali in perenne lotta fra loro, quello imperiale e quello papale, per diventare entità autonome a loro volta in perenne lotta tra loro per affermare la supremazia l’uno sull’altro
Alla luce di questa considerazione poco conta, in fondo, quale sia stato l’esito delle elezioni di cui abbiamo appena conosciuto i risultati. Analizzarlo ha il sapore di un vacuo esercizio accademico. E’ come riflettere sulle regole di un gioco puerile mentre i “Grandi”, nel chiuso delle loro stanze di potere, sono intenti a fare la Storia, indifferenti alle sorti dei piccoli, che si illudono di essere protagonisti pronunciando la formula: “Facciamo che io ero… facciamo che io dicevo… facciamo che io facevo”.
E allora facciamo finta per un momento che quello delle elezioni non sia stato un gioco puerile, ma un momento solenne, destinato a determinare le sorti del nostro Paese.
Tutti gli analisti concordano su un punto, i risultai elettorali fanno dell’Italia un paese ingovernabile. La coalizione di maggioranza controlla la Camera, ma al Senato è impossibile formare una maggioranza omogenea. Perché?
Al centro-sinistra mancano decine di seggi per raggiungere una sicura maggioranza assoluta. Il progetto di Bersani, figura del tutto priva di carisma, lontana anni luce da quella dello statista di cui l’Italia avrebbe oggi avuto bisogno, è stato vanificato dal deludente risultato ottenuto dalla sua coalizione e contemporaneamente da quello del raggruppamento che fa capo al senatore Monti. Il sogno di Bersani a Palazzo Chigi e di Monti al Quirinale è irrimediabilmente svanito. Non un gran male, dal mio punto di vista, perché tale soluzione, in linea con le mire del governo uscente, non avrebbe fatto altro che accelerare la consegna del nostro Paese nelle mani dei faccendieri e degli speculatori che si stanno spartendo il mondo come facevano un tempo i pirati col bottino dei galeoni arrembati.
Rimangono allora tre soluzioni, a mio giudizio l’una più impraticabile e deleteria dell’altra.
La “Grande Coalizione” una sorta di “Comitato di Salute Pubblica” che metta insieme Bersani e Berlusconi in un amplesso contro natura, teso unicamente a perpetuare l’oscena pratica del compromesso trasformistico ad esclusivo vantaggio di una classe politica marcia, relitto dei naufragi di prime e seconde infauste repubbliche.
Bersani, a stento uscito vivo dalle urne, sa benissimo che ciò rappresenterebbe per lui un suicidio politico, ma Berlusconi, il politico dalle sette vite, l’imbonitore, il venditore di illusioni porta a porta, preme per questa soluzione, alla ricerca di consolidare il suo ennesimo trionfo di gabbamondo, magari piazzando il suo deretano sul più alto scranno di Palazzo Madama, dal quale poter fronteggiare le mute di “Toghe Rosse” che gli mordono i calcagni.
“Scendere a patti con Grillo”. Una tentazione dalla quale, vista l’impasse in cui si trova, Bersani potrebbe non essere immune. La nutrita schiera dei senatori grillini, che si presenta più come un coacervo di individualità eterogenee che come una compagine omogenea, rappresenta un mistero che il disperato caporione del centro-sinistra potrebbe tentare di sondare.
Per Grillo, ovviamente, neanche a parlarne, ma chi ci dice che egli sia in grado di controllare la sua creatura. Potrebbe sfuggirgli dalle mani, autodistruggersi, così come avvenne all’Uomo Qualunque di Giannini, frammentarsi, cedere alle profferte del migliore offerente. Nessuno può saperlo.
La terza ipotesi, quella che appare più ragionevole, è quella del “Governo Minoritario di Programma”. Ed è in questa direzione che Bersani cercherà probabilmente di muovere i primi passi, nel tentativo di coagulare di volta in volta un’occasionale maggioranza intorno a singoli provvedimenti. Come dire, insomma, uno spavento senza fine… o una fine spaventosa.
E le Stelle, intanto, non stanno a guardare.
Federico Bernardini
Illustrazione: “L’Italia in Croce” (Gaetano Pesce), fonte: http://designandstyle.blogosfere.it/2011/06/gaetano-pesce-e-il-simbolo-del-padiglione-italia-alla-biennale-darte-di-venezia.html