L’anniversario dell’Unità d’ Italia si avvicina, la bandiera è stata tirata fuori dallo scatolone in cantina e l’Inno Nazionale è stato ripassato. Dopo tutta questa attività, decido di concedermi un caffè, lo bevo in compagnia di una giovane donna di diciannove anni, così mi viene spontaneo chiederle: “ti senti italiana?” e la risposta che ricevo è “io sono palermitana”.
La nazione è artificio: centocinquant’anni fa, quando l’Italia veniva unita, gli italiani non sapevano di essere italiani, non vi era nulla che accomunasse un piemontese ad un palermitano, poi pian piano attraverso scuola, feste nazionali, mondiali di calcio, ed anche grazie a Mino Reitano, gli Italiani iniziarono a prendere forma, tutti orgogliosi di avere tra i nostri connazionali Dante, Michelangelo, tutti figli di Romolo.
Non è sempre facile pensare alla propria nazione, molto spesso per noi casa è la nostra regione, a nessun palermitano verrebbe la lacrimuccia agli occhi vedendo la “madunina” o le Alpi, come ad un milanese non verrebbe nostalgia del proprio paese vedendo l’ immagine del mercato della Vucciria, né del Golfo di Mondello.
Ma i partigiani? Penso ai ragazzi della mia età che hanno sacrificato la loro vita per la propria patria, per il proprio popolo, il riscatto di un destino che passa attraverso la salvezza della propria terra.
Forse è proprio questo il punto, in gioco vi era comunque un destino personale, ma che passava attraverso l’ idea di nazione, di appartenenza a qualcosa di più che a se stessi. Ed allora sì, che un cagliaritano, un leccese, un abruzzese, un campano si sentivano fratelli d’ Italia.
Uomini e donne che hanno riscattato la propria condizione umana, riuscendo a diventare qualcosa di più per tutti gli italiani. Divinità laiche saranno per sempre coloro che sono morti combattendo la mafia, il fascismo ed il nazismo, la camorra, tutti coloro che hanno contribuito a renderci tutti un po’ orgogliosi di essere italiani. Tanti sono gli scrittori, i musicisti, i pittori, gli scultori ci hanno fatto sentire tutti un po’ migliori perché appartenenti ad uno stesso popolo.
Però ci sono tante altre cose che rendono quest’Italia pesante, un fardello da portare in giro per il mondo. Uomini che hanno fatto dell’ Italia non la propria possibilità di riscatto, di compimento di un destino eroico, no, l’hanno sventrata, mangiata e consumata piano piano, morso dopo morso se ne sono riempiti la pancia, hanno bevuto il sangue romano e hanno asciugato le proprie labbra con polsini delle loro camice inamidate.
Guardateli, sono là, puzzano di carogna tra arance, limoni, polenta, pizza e l’ aroma di caffè. Se ne sente la voce sgradevole che tenta di far soccombere il dolce stil novo, le interviste di Pasolini, il messaggio di salvezza di Ungaretti, il miracolo laico di Montale. Li potete vedere sporcare con le loro mani lorde di soldi il Colosseo, la torre di Pisa, li avete già visti guardare Pompei mentre crollava e non muovere un dito.
Il 17 Marzo festeggeremo i centocinquant’anni di unità nazionale, saremo lì ad onorare una patria, una nazione, una terra che dopo centociquant’anni si ritrova ancora con le unghia di lerci “vicerè” conficcate nei fianchi.
Non possono non venirmi in mente le parole di Pasolini :
“Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.”
Il Risorgimento non è ancora compiuto.