La scrittura di Barthelme (“scrivi di ciò che hai paura” diceva spesso quando era docente di scrittura creativa presso l’Università del Texas) è stata spesso paragonata a quella di Barth, Pynchon, Vonnegut…
Si può dire che una manciata di moderni scrittori americani hanno plasmato l’arte del racconto e sono Ernest Hemingway, Katherine Anne Porter, JD Salinger, Raymond Carver, oltre a Donald Barthelme, il più sorprendente e quello più fuori dagli schemi del lotto. Ma anche il più divertente. Colui che ha portato il surrealismo e il dadaismo mainstream nella narrativa americana.
“Ritorna, dottor Caligari” è la prima raccolta di racconti pubblicata da Donald Barthelme e quando uscì, nel 1964, i critici scrissero che il suo lavoro era senza oggetto, senza carattere, senza trama e non si preoccupava della comprensione del lettore.
Si nota come Barthelme già allora credeva di poter lavorare nella tradizione di Joyce e Samuel Beckett e che la sua scrittura era un mezzo per fare arte, non per sovvertirla.
Certamente era in anticipo sui tempi perché il suo modo di scrivere influenzò (e non poco) tutta una generazione di post-postmoderni.
Vale davvero la pena leggerla questa opera prima edita in Italia da Minimum Fax e tradotta molto bene da Claudio Gorlier.
Un libro scomodo e surreale (per Barthelme l’obiettivo della letteratura “è la creazione di uno strano oggetto coperto di pelo che spezza il cuore”) questo “Ritorna, dottor Caligari”, brevi storie incredibilmente ben costruite, divertenti e inquietanti allo stesso tempo (a volte impenetrabili e selvagge) scritte da uno dei maestri riconosciuti della narrativa breve.
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