Ritorno a Londra- Capitolo Terzo-Quarta Puntata
Creato il 16 maggio 2012 da Albix
Max si era giocato alle corse, una ad una, tutte le proprietà ereditate dalla sua famiglia. Mi parlava spesso di corse di cavalli e talvolta, nel trasporto del suo raccontare, diceva con rabbia che ce l’avrebbe fatta a fare “centro”ed a riscattare almeno una casetta di campagna, nel Galles, dove si sarebbe finalmente ritirato per una tranquilla e dolce vecchiaia.
Gli altri, per la maggior parte, erano però assai più malconci e trasandati. Capelli senza cura, faccia nera, di quel nero che solo la strada può dare; abiti sempre sporchi e sdruciti; pantaloni senza cinta e scarpe senza lacci, segni del loro frequente entrare ed uscire da luoghi di ricovero coatto, se non proprio dalle regie galere inglesi.
Avevano sempre nelle mani o nelle tasche della giacca l’immancabile bottiglia di liquore o di vino, oppure, nei periodi di magra, di un intruglio che essi chiamavano “sloppy drink”, o più semplicemente “slop” di cui non riuscii mai a capire esattamente la composizione.
“ Una roba”- mi disse una volta Joe, un ex-pugile suonato, – “ che quando la bevi, ti uccide gentilmente!”.
Un altro che si distingueva dal gruppo era “Old Jerry”, uno che si vantava di avere lasciato una gamba in non so bene quale battaglia e mostrava sul petto, fieramente, numerose decorazioni delle guerre imperiali britanniche cui aveva preso parte. Mi salutava sempre allegramente ed era l’unico che beveva sempre e solo whiskey.
Un giorno, dopo tanto che non lo si era visto in giro, mi disse che era fuggito dal “ricovero”, dove certi suoi parenti lo avevano fatto rinchiudere. Ai miei perché incuriositi aveva risposto che gli rubavano tutti i soldi della pensione e non gli lasciavano neanche gli spiccioli per un goccio di wiskey e che lui, finchè campava, voleva vivere libero di fare ciò che gli andava, dopo tante che ne aveva viste e scampate; e toccandosi significativamente la protesi, claudicante ma allegro, raggiunse i suoi compagni che già lo chiamavano dalle panchine di fronte, pregustando in gola una sorsata di whiskey di marca.
Più misterioso era invece “Colby”, un gallese ancora prestante, nonostante conducesse quella vita errabonda oramai da svariati anni. Si diceva di lui che fosse stato al servizio della “Metropolitan Police”. Capitò una mattina che passasse per la piazza una banda della “Salvation Army”, con grande spiegamento di suoni di trombe, tamburi e di canti inneggianti alla Regina, agli eroi nazionali, a Dio Onnipotente ed alla Misericordia Divina, con in testa i capi gallonati in alta uniforme, tronfi ed impettiti come generali, e in coda le questuanti dal viso angelico ed ispirato con i capelli raccolti in una cuffia, come tante suorine e la cassettiera per le offerte appesa al collo con la scritta “thank you”.
Colby si era accorto del sopraggiungere dell‘Esercito della Salvezza proprio mentre si dirigeva verso le sue panchine preferite, al centro della piazza. Dovette sembrargli rischioso esporsi sulla piazza, poiché, con quattro salti felini si era rifugiato all’interno del locale, andandosi a nascondere proprio dietro la macchina dei gelati. Non visto, da lì, faceva dei gestacci all’indirizzo del corteo che sfilava gioioso e glorioso, muovendo l’indice ed il medio della mano destra dal basso verso l’alto e poi incrociandoli a mo’ di scongiuro e pronunciando frasi oltraggiose ed irripetibili nei confronti dei componenti di quella sfolgorante parata in marcia.
-“ L’ultima volta che mi hanno messo le mani addosso”- mi raccontò appena vide scampato il pericolo – “ mi hanno persino menato per convincermi che il latte è più buono del mio slop; ma io gliel’ ho detto, sai, che sono stufo di subire imposizioni e che non voglio essere redento da loro! Tanto più che sono una manica di maniaci sessuali e di vecchie acide rinsecchite che non servono neppure per succhiarmi l’uccello!”-
E concluse con un un’altra caterva di improperi tra cui afferrai distintamente un “all’inferno voi e tutti i pagliacci in divisa dell’Impero Britannico di Sua Maestà la Regina Elisabetta II!” E mentre pronunciava queste ultime parole era già via, pronto a riprendere la sua personale ricerca, Dio solo sa di chi o di che cosa.
Il dormitorio di questi barboni è all’aperto, sul retro delle stazioni metropolitane; Charing Cross e Victoria Station vanno per la maggiore. Si avvolgono nel cartone per proteggersi dall’umido di cui sono impregnati i muri e il suolo e per ripararsi dal vento gelido che spesso soffia dal vicino Tamigi. I più fortunati rientrano però a dormire nei quartieri periferici, in qualche umido sottoscala o in qualche sordida stanzetta, tra topi e rifiuti di ogni genere. Non di meno, preferivano tutto questo ai dormitori pubblici, per la verità non molto numerosi ma sicuramente più confortevoli, soprattutto per il fatto che tale ospitalità era subordinata all’accettazione di un programma generale di recupero e di reinserimento sociale che essi, ostinatamente, rifiutavano di assecondare.
Ve n’era anche qualcuno del tutto asociale, che rifiutava persino la compagnia degli altri barboni ed infatti lo si vedeva sempre da solo.
Uno di questi era il “gigante nero”. Era costui un giamaicano alto e grosso, sempre avvolto in un cappottaccio grigio e pesante; girava continuamente in lungo e in largo per la piazza, grattandosi immancabilmente la testona ricciuta e lanosa, oppure la schiena e le gambe e non salutava mai nessuno. Una volta, e fu l’unica, si avvicinò a chiedermi un gelato e dovette pensare che mi aspettassi i soldi, perché mi attaccò con frasi arroganti, nel suo incomprensibili dialetto giamaicano. Aveva gli occhi rossi e gonfi. Dopo la prima scarica di improperi diede un morso tremendo a quel povero gelato, pappandoselo quasi per metà. Poi, visto che io ero rimasto impassibile, pronunciò ancora qualche mala parola, con minore convinzione di prima e si allontanò. Sperai tanto di non avere mai più niente a che fare con quell’energumeno, anche per paura dei suoi indesiderabili ospiti. Ma come lo vidi, in lontananza, riprendersi a grattare, capii che non c’era alcun pericolo: le pulci gli si erano proprio affezionate e non l’avrebbero mai abbandonato per nessuna ragione al mondo.
…continua…
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