Facebook, anche se non è l’unico, è sempre e comunque un ottimo veicolo per rendersi conto di che direzione sta prendendo la società e il pensiero comunemente condiviso. Così, riguardo alla “rivolta dei forconi”, colgo alcune peculiarità che mi hanno indotto a riflettere e queste riflessioni voglio condividere coi lettori dell’Ape.
Partiamo dalla storia, come spesso tocca fare per capire meglio gli accadimenti contemporanei. Nessuno può pensare, dati alla mano, che siano mai state fatte rivoluzioni veramente popolari. Magari insurrezioni, moti estemporanei, ma rivoluzioni organiche e organizzate che abbiano portato a radicali modificazioni degli assetti statali mai sono realmente partite dalla società, ma la popolazione è stata sempre in qualche modo indotta e pilotata da qualcuno o qualcosa. Dietro la rivoluzione francese, dietro quella russa, quella americana, c’è sempre stata un’organizzazione superiore a muovere la gente, sia essa l’aristocrazia, sia essa un movimento intellettuale, sia essa la massoneria. Gli stessi moti insurrezionali italiani, l’unica parvenza di movimento rivoluzionario realmente entrato in azione in Italia, erano organizzati nemmeno tanto velatamente dalla carboneria che era come dire massoneria. Fermi restando i principi condivisibili.
È quindi legittimo domandarsi se, anche nel caso della protesta odierna autoproclamatasi rivoluzione (che poi, se rivoluzione sarà, lo dirà la storia), ci sia qualche ente esterno, superiore, nascosto a muovere le fila e a organizzare la protesta seppur legittima. Si è parlato di mafia, di movimenti di estrema destra. Non possiamo sapere con certezza se a programmare la protesta ci siano questi o altri. Quello che vedo, però, da Facebook appunto è interessante: la moderna classe medio-alta (più alta che media), fatta di avvocati, notai, professionisti di alto livello, con redditi che noi umani non possiamo nemmeno immaginare, cavalca l’ondata ribelle e la fomenta, producendo post, commenti, profusione di materiale atto a incrementare le ragioni del malcontento. Una classe sociale che, in realtà, dalla crisi viene toccata in maniera tutto sommato marginale rispetto all’operaio che perde il posto di lavoro è veramente incarognita e stimola i propri contatti a proseguire nell’azione di protesta. Ovviamente comodamente seduta sulla propria poltrona in pelle dietro una bella scrivania in mogano. Che vuol dire ancora non lo so, ma c’è da riflettere.
Luca Craia