Le cronache giudiziare dei quotidiani e tg, nazionali e locali, sono sempre più ricche di storiacce di corruzione. A centinaia, corrotti e corruttori, concussi e presunti concussori, affollano con i loro volti da normalissime “persone perbene” le pagine dei giornali e i servizi dei telegiornali. A destra, come a sinistra, molti accrescono le proprie posizioni economiche personali servendosi senza ritegno alcuno della loro posizione nella macchina amministrativa pubblica e nelle aziende ad essa riconducibili. Mi si dirà che è una vecchia tradizione italica che senza troppo orgoglio condividiamo con le repubbliche sudamericane e con i più sgangherati stati africani. Dai tempi dello scandalo della Banca Romana (fine ottocento), ciclicamente e con precisa cadenza temporale, scoppiano scandali epocali che sembrano farci toccare il fondo, salvo ricrederci al successivo scandalo che dimostra che al peggio non c’è mai fine.Visto lo storico andazzo, perché meravigliarsi allora delle ultime operazioni corruttive? Cosa ha di diverso l’affaire Penati con i tanti casi similari scoperti ai tempi di Mani Pulite? Nella sostanza si direbbe che nulla è cambiato e che, in fondo, la corruzione è antropologicamente connaturata alla pubblica amministrazione e che, quindi, bisogna accettarla come un evento inevitabile a cui mestamente soggiacere. In realtà, qualche elemento differenziante, a ben vedere, lo si può riscontrare negli ultimi eventi narrati dalle cronache. Ovviamente, fatta salva la sospensione del giudizio sui casi specifici – che spetta alla magistratura – si può asserire che la degenerazione dei costumi ha consentito il propagarsi di modalità corruttive, sempre più raffinate nella loro esplicazione. Sulla scorta delle esperienze del passato, corrotti e corruttori sono sempre più abili ad escogitare meccanismi di camuffamento dell’evento corruttivo, via via più complessi. C’è, inoltre, una novità ancor più sconcertante. Si intuisce come i frutti della corruzione siano sempre più appannaggio del corrotto che attraverso tale meccanismo provvede al proprio arricchimento personale, piuttosto che destinarlo ad alimentare la parte politica di appartenenza. In sostanza, sembra emergere un quadro di una corruzione ad uso e consumo personale che utilizza la politica solo come vettore anomalo, finendo per perdere definitivamente quella funzione impropria di finanziamento occulto dei partiti così come avveniva ai tempi di Tangentopoli. La morte dei partiti di massa, sostituiti dai partiti-azienda o personalistici, ha determinato il venir meno delle ideologie ad essi collegati e, fra le altre terribili conseguenze, ha portato alla sparizione della tangente per il partito. Oggi, ci troviamo in presenza di amministratori pubblici che in nome proprio provvedono a procacciarsi le risorse economiche necessarie a sostenere le loro vite dorate o, al massimo, il ristretto entourage della loro personale corte di nani e ballerine. Nascono e si consolidano, in questo modo, piccoli potentati personali che nulla hanno a che fare con le vecchie correnti della Prima Repubblica. Questi piccoli o grandi bacini elettorali sono di proprietà privata del ras e, come truppe cammellate, vengono spostate da un partito all’altro in una logica puramente opportunistica.
Enti locali ed aziende ad essi collegati, in profonda crisi di finanziamenti, vengono così sopraffatti economicamente da orde di famelici amministratori, funzionari ed impiegati infedeli che attraverso la corruzione si arricchiscono alle spalle dei cittadini/contribuenti, depredandoli due volte, da perfetti Robin Hood alla rovescia. Ogni fenomeno corruttivo, infatti, non solo arreca danno alle amministrazioni o alle aziende pubbliche in quanto il “costo” dell’operazione si scarica su di esse ma, successivamente, è anche un danno fiscale. Come è facilmente intuibile, il corruttore userà danaro frutto di una contabilità in nero (quindi esente fiscalmente) per foraggiare l’amministratore o funzionario corrotto che, a sua volta, non inserirà la somma illecitamente percepita nella sua personale dichiarazione dei redditi. Insomma, il cittadino/contribuente sano a fronte di un atto corruttivo ne riceverà doppio danno. Si stima che la corruzione sia una tassa occulta che ha un valore di circa 60 miliardi di euro/anno. Si tratta di una cifra enorme che viene ridistribuita a migliaia di persone. Non si tratta come molti potranno credere solo di uomini politici influenti o grand commis di Stato. Spesso, purtroppo, sono piccoli funzionari comunali o insignificanti impiegate addette agli approvvigionamenti che, godendo della loro posizione, trattengono illecitamente parte significativa del reddito nazionale. Sfuggendo, peraltro, ad ogni forma di tassazione diretta e generando, a loro volta, altra reddito in nero, in un perverso moltiplicatore del malaffare.Che fare, allora, per fronteggiare una tale minaccia, destabilizzante economicamente e moralmente? Un primo timido tentativo potrebbe essere l’istituzione di un’anagrafe degli amministratori e dipendenti delle aziende pubbliche (estensibile anche ai parenti più immediati) che raccolga in maniera dettagliata la situazione patrimoniale e le spese effettuate. Questo sistema avrebbe un forte potere dissuasivo per i malintenzionati. Certo, c’è sempre la possibilità di accumulare i proventi degli illeciti nei pouff alla Poggiolini, ma come capirete il danaro è invogliante solo quando può essere speso.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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