La data del 10 marzo 1959 segna un evento drammatico nella storia del Tibet. L’intera popolazione di Lhasa insorse contro l’occupazione militare cinese e, nella repressione che ne seguì, 87.000 tibetani vennero brutalmente uccisi. Guarda l’evento completo sul portale web di Radio Radicale.
Il significato dell’espressione “Sindrome Cinese” fa riferimento ad una teoria, mai verificata nella pratica, la quale ipotizza che in caso di un incidente ad una centrale nucleare niente riuscirebbe a fermare la fusione, ma il reattore fonderebbe fino alla base della centrale causando una profonda perfozazione della crosta terrestre, scendendo «in teoria fino alla Cina».
E’ proprio in questa definizione scientifica che si possono rintracciare i postulati dell’attuale invasione commerciale che, nel caso specifico, sta percorrendo la traiettoria inversa: ovvero, dalla Cina perfora gli accordi della libera concorrenza e giunge in Europa. Basta dare un’occhiata all’attuale situazione delle attività commerciali in Italia; dove bar, ristoranti e negozi vedono spuntare come funghi concorrenti provenienti dal paese del dragone, che praticano prezzi stracciati, economicamente insostenibili dagli esercenti italiani. A questi ultimi è impossibile difendersi nemmeno ridimensionando i margini di profitto: i commercianti cinesi lavorano sottocosto, riuscendo a tenere gli esercizi sempre aperti offrendo servizi e beni di bassa qualità. Ma pesiamo bene le parole; in questo caso, quando si punta il dito contro la Cina, l’accusa assume la forma di un’esigenza finalizzata a tutelare un’istituzione ontologicamente sacra come il lavoro, con lo scopo di garantire al contempo la tutela del consumatore. C’entrano poco le calunnie di intolleranza e razzismo. Anzi, per meglio ricostruire il puzzle che ha portato alla dequalificazione dei capisaldi commerciali delle nostre economie, occorre ribadire che il corto circuito prende origine proprio all’interno del nostro sistema.
In particolare, quando si parla di controlli, è necessario chiamare in causa l’Unione Europea. Per il fatto che nel 2014 avranno luogo le elezioni europee, che saranno importanti e al contempo allarmanti sotto molteplici aspetti. Allarmanti perché l’Unione Europea ha in questi anni spesso e volentieri offerto foraggio ai partiti e movimenti che si presenteranno a questo appuntamento per distruggere questa chimera senza cervello oggi rappresentata dalle istituzioni comunitarie. Ricordiamo che fu proprio l’Unione Europea ad ammettere la Cina nel World Trade Organization. Accadde trecidi anni fa. Fu un suicidio dalle conseguenze prevedibili, aggravando in maggior misura dall’atteggiamento tollerante dell’Unione Europea e dei suoi governi, che ha permesso l’invasione di prodotti cinesi in Europa, sobbarcando i fenomeni depravanti delle delocalizzazioni e il conseguente fallimento di imprese, l’indebitamento dei Governi, la cassa integrazione e l’inarrestabile disoccupazione.
Quando penso a questa Cina, penso ad una virosi endemica in grado di sfociare in una pandemia, come la Peste antonina e il morbo di giustiniano. Si tratta di una virosi endemica che conosce la propria fase larvale nella stessa Cina.
Quando si parla di mutamento endemico, basti pensare alla Pechino di oggi, che, parafrasando le parole di Tiziano Terzani ne “La Porta Proibita”, non possiede una sola strada che abbia conservato quella modesta eleganza della vecchia Pechino; quella silenziosa atmosfera di fronde d’alberi tremolanti tra le curve dei tetti sotto i quali gente di infinita forza ha, per secoli e secoli, tenuto in vita una grande civiltà. Non esiste più un solo cortile con quella raffinata atmosfera in cui gli studenti erano soliti invitare i loro amici a godersi lo sbocciare dei crisantemi e a passare la notte scrivendo poesie alla luna. La Cina, soprattutto nella sua parte orientale, oggi appare come un’enorme discarica a cielo aperto, che con i suoi veleni intossica l’ambiente circostante giungendo persino a inquinare i cieli degli Stati ad essa confinanti. In queste disumane condizioni, il proletariato cinese conduce la sua faticosa esistenza in uno stato di semi schiavitù che garantisce alla borghesia cinese un enorme vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza internazionale. I fatti e la storia denunciano che il benessere tocca una piccola parte della popolazione.. Come disse Lu Decheng nel 2007, durante un incontro al Parlamento italiano, “La Cina è un paese ricco, ma il suo popolo è povero”, viston che più dell’80% della popolazione cinese è sfruttata nelle fabbriche-lager, nelle campagne e nei Laogai a vantaggio di una minoranza di circa il 15-20% collegata al partito.
In conclusione, all’Unione Europea non resta che una via d’uscita per un recupero di credibilità all’interno dei propri confini. Proprio dall’Unione Europea qualcuno ha alzato la testa, probabilmente per un meccanismo che ha generato un sussulto di realismo con i fatti, qualcosa si è mosso. Nel maggio 2012, con una risoluzione approvata per alzata di mano dall’Aula di Strasburgo il Parlamento ha invitato l’Unione europea ad agire unita contro la concorrenza sleale della Cina e per ripristinare l’equilibrio negli scambi commerciali.
Il primo passo dovrebbe essere di ottenere un quadro chiaro della penetrazione cinese nelle economie europee, con la creazione di un organismo preposto al controllo degli investimenti nelle imprese europee e degli acquisti di debito sovrano europeo. Dal Parlamento qualcuno ha evidentemente preso coscienza dei vantaggi enormi e ingiustificabili di cui gode la Cina, membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, grazie alla concorrenza sleale che permette ai dirigenti del partito di raggirare le stesse regole per fornire alle proprie imprese sovvenzioni statali sleali e crediti all’esportazione: Cina blocca gli appalti pubblici delle imprese europee, nonostante l’Ue garantisca l’accesso al proprio mercato degli appalti pubblici delle imprese cinesi.
Auctoritas non veritas facit legem. Come può funzionare in concreto il controllo? Un organismo di controllo dell’Unione europea, simile al Review Board degli Stati Uniti, sarebbe in grado di fornire una valutazione ex-ante degli investimenti strategici stranieri. Dal 2012 ad oggi sono quasi passati due anni e i tanti commercianti in crisi stanno ancora aspettando una risoluzione energica da parte dell’Unione Europea. A questo punto, dobbiamo esigere una presa di posizione netta e distinta. La dobbiamo esigere per il rispetto e la fratellanza verso i popoli oppressi da quel Moloch senza coscienza, come i Tibetani, gli Uighuri, i Cristiani, i praticanti del Falun Gong. La dobbiamo esigere per gli stessi cittadini cinese, costretti agli sfratti forzati, vittime della politica del figlio unico e del traffico illegale di organi.
Se l’Unione Europea abbandonasse per una volta il finto filantropismo del libero mercato globalizzato per adottare una linea diretta a salvaguardare la produzione nel territorio dei Paesi membri, e a tutelare le civiltà oppresse dal governo cinese come la comunità tibetana – che oggi ricorda la strage di Lhasa compiuta il 10 marzo 1959, seguita da sessant’anni di radicale deturpamento e distruzione della propria cultura, del proprio ambiente e delle proprie tradizioni – non avrebbe che da guadagnarne sotto l’aspetto del prestigio interno ed internazionale, con la possibilità di scongiurare in modo decisivo lo spettro degli sciovinismi e delle derive demagogiche nei sistemi politici dei Paesi membri.