Magazine Cinema
Il festival del cinema di Venezia, per la prima volta in 70 edizioni, ha selezionato un documentario in concorso, e lo ha persino premiato con il Leone d’Oro. Moto ondoso fra scorci abbacinanti e spazi ottundenti, né propriamente docu né totalmente fiction, più che un film: cinema, Sacro GRA di Gianfranco Rosi è uno spaccato della Roma borderline, con le sue storie di uomini ai margini di tutto. Eppure, questa accozzaglia di vite bizzarre, funziona. GRA è l’acronimo per definire il Grande Raccordo Anulare, la più grande autostrada urbana d’Europa. Un “anello di Saturno” intorno alla città eterna, Roma. Già dal titolo si intuisce da quale punto di vista il regista investiga questo scenario urbano: l’inatteso miracolo di vita per un luogo che a prima vista sembra un simbolo della temporaneità e il crocevia di istanze esistenziali. Umane, troppo umane verrebbe quasi da dire. Rosi, accarezza con poesia cinque microstorie di persone impegnate con passione a vivere la propria quotidianità. C’è il pescatore di anguille, il botanico che studia il punteruolo rosso, la transessuale che vive in roulotte, un nobile postmoderno, e il pensiero corre subito al dandy scrittore Jep Gambardella, a Dadina, alla ballerina attempata di un nightclub, alla giraffa, ai fenicotteri, a una vecchia santa, a un cardinale... perché Sacro Gra, è il contraltare semantico de La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino. Dalla periferia urbana, ai superattici vista Colosseo, il cinema italiano racconta la capitale attraverso i suoi estremi, gli emarginati, i paradossi, le sue mostruosità.Ma se Rosi ci racconta una Roma fragile e sporca anche esternamente, quella di Sorrentino è allo stesso tempo rabbiosa e apatica solo dentro, forse.Il successo di Sacro GRA determina finalmente una ridefinizione della mappa dei limiti e luoghi in cui possiamo collocare e pensare la settima arte e conferma, se ce ne fosse bisogno, che Fare Cinema significa sempre comunque spostarsi e abitare spazi ancora non definiti e precari. Rosi ci guida attraverso questo non-luogo con le sue inquadrature larghe, panoramiche, morbide e lente. Immagini che si contrappongono al frenetico e congestionato traffico del Raccordo. Un chiaro percorso narrativo, suggellato dagli eccellenti primi piani degli abitanti del GRA, che occhieggiano più all’espressionismo tedesco che non al neorealismo italiano.Forse finalmente ci si è accorti che da almeno dieci anni in Italia (in Germania e in Francia sono molti di più), il documentario si sta facendo promotore di una vera e propria rinascita del cinema italiano. E che un'intera generazione di registi sta guidando questa rivoluzione. Anche se tutto questo fino ad oggi è avvenuto in un imbarazzante silenzio delle istituzioni che non ascoltano, raramente finanziano e difficilmente promuovono. Un Leone d'Oro coraggioso quello assegnato al film di Rosi. Davvero una scommessa vinta, in mezzo a tanto cinema spettacolo.
voto 8voto redazione
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Presidente: 6.5 | Ang: 6 | Gianluca: 5.5 | Mercedeh: 5
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