Dopo la confessione di Carlo Nanni, il padre della ragazza che ha ucciso lo stalker della figlia, Stefano Suriano, i sommozzatori del nucleo subacqueo dei carabinieri, sono andati alla ricerca del coltello del delitto sul letto dell’Aniene ma, hanno, invece, rinvenuto un vero e proprio arsenale: un fucile mitragliatore, sette pistole semiautomatiche, una pistola a tamburo, un serbatoio per arma lunga vuoto, 90 cartucce calibro 9, 50 cartucce calibro 38 special.
Le armi, secondo alcuni, pare appartenessero a quella banda della Magliana che, fa tanto discutere.
Corrose dalle acque, le matricole di pistole, fucili, mitra e il resto del ritrovamento davvero “col botto”, sono illeggibili quindi risulta impossibile la loro identificazione.
Secondo le prime ricostruzioni, erano lì da tempo e pronte ad essere riportate a galla, all’occorrenza, grazie alla corda con le quali erano state legate.
E quel delitto “fai da te” ora che gli arsenali della banda della Magliana sono riemersi, pare mantenga alto oltre che il livello d’attenzione anche quello della similitudine con il più lontano assassinio compiuto da Pietro De Negri “er Canaro” contro il suo stalker personale: Riccci.
Pare essere più “all’italiana” degli ultimi tempi quella che Nanni, ha organizzato, contro lo stalker della figlia, piuttosto che l’esecuzione alla romana cantata Chicoria ricordando proprio De Negri in “crepa”.
Una cosa “fatta bene” perché, al contrario “der Canaro” che ha fatto tutto da solo, lui aveva chiamato pure i “rinforzi” radunandoli prima della spedizione punitiva partita sabato scorso dal comprensorio di Tor Cervara tra campagna e capannoni.
Domenica dopo la confessione di Nanni, il “canaro italiano” di oggi, erano scattate le manette.
Martedì, sera le indagini portavano già al primo fermo: Antonio Aratari (rimasto ferito nello scontro con Suriano). Un operaio edile di 26 anni, presentatosi al carcere di Regina Coeli con il suo avvocato.
Mercoledì, invece, è stata la volta del terzo presunto componente del gruppo, Massimiliano, fratello di Artari (ora in carcere per concorso in omicidio).
L’uomo, un operaio di 27 anni, romano, con piccoli precedenti penali, è stato prelevato dai carabinieri del Nucleo investigativo e dalla compagnia Montesacro a casa ma ha subito cercato di declinare ogni responsabilità sull’uccisione di Suriano.
L’operaio, infatti, ha detto di non trovavarsi nell’area di servizio sulla Tiburtina dove si è consumato l’omicidio. Una confessione che, però, ha retto poco.
Successivamente, infatti, ha ammesso di aver dato calci e pugni alla vittima (colpita sette volte con un lungo coltello, probabilmente tirato fuori per difendersi dai tre che lo circondavano). Suriano disarmato con una mazzetta di ferro – fatta ritrovare da Nanni in un campo – è stato poi pugnalato, forse, mentre veniva bloccato dai suoi aggressori.
Sarà però l’autopsia sul corpo dello stalker a stabilire come sia stato ucciso esattamente. Nel frattempo, Massimiliano Artari ha fornito ulteriori elementi per le indagini che si sono arricchite, pare, di un quarto uomo.
I carabinieri stanno studiano le immagini delle telecamere di sorveglianza, anche se la zona del distributore dove è avvenuto il delitto non sarebbe completamente coperta.Così, più che le registrazioni, per gli inquirenti si fanno sempre più chiare le fasi precedenti all’omicidio: Suriano, per l’ennesima volta, si reca in via Giacomo Del Duca per litigare con l’ex compagna (figlia di Nanni). La donna, però non c’era e lo stalker, prima di tornare a casa, bisticcia con la sorella maggiore.
Il padre esausto ed esasperato, rinuncia all’attesa dell’intervento delle forze dell’ordine e, con meno forze cerca di fare ordine nella vita della sua famiglia. Raduna così i suoi “compari” e segue Suriano. A colpi di mazzetta, gli distrugge l’auto che trova parcheggiata.
Più tardi, il pregiudicato esce di nuovo con l’auto del padre. Si ferma al distributore di benzina in quell’area di servizio che segnerà, da lì a poco, gli ultimi momenti della sua vita.
E’ lì infatti che i tre (o quattro) lo raggiungono.
Lo insultano, lo picchiano e, infine, lo ammazzano.
Non è escluso che siano state usate altre armi da taglio per compiere l’omicidio ma intanto, il coltello continua ad essere un ricercato speciale nel fiume Aniene che, dopo il ritrovamento della borsa di piombo, ha aperto una foce per altre indagini estranee a questo delitto.
Marina Angelo