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Roma gioca alle brutte statuine

Creato il 29 gennaio 2014 da Albertocapece

Monolite 8-2Anna Lombroso per il Simplicissimus

A vederla sembra un grande scatolone di fiocchi integrali, un buongiorno per quelli che passano nell’area archeologica più suggestiva di Roma. Ma non è una pubblicità della Kellog’s, è un’opera d’arte a detta dell’autore, Francesco Visalli, un monolite bifronte omaggio a Mondrian, collocato stabilmente sul belvedere del Circo Massimo davanti al monumento a Mazzini, tra Aventino e Palatino.

Nessuno dei passanti si è stupito: dev’essere che siamo ormai talmente assuefatti agli schiaffoni tirati al bello, ai cartelloni sull’autostrada che coprono scorci e  paesaggi, ai sipari che celano facciate monumentali con effigiati faccioni di modelle, bottiglie di profumo, lattine di birra altrettanto monumentali, anche alla sacra mega latrina omaggio a Papa Wojtyla, che nulla ci può scomporre. Anzi chi non avrà sperato che si trattasse appunto della confezione su scala di qualche prodotto del nuovo sponsor dei restauri  del palatino, condannato a essere il lato B molto percorso e trafficato del Colosseo promosso a lato A da quando è in comodato allo scarparo, avrà sospettato che sia davvero l’opera di un creativo spericolato, probabilmente ben protetto e sponsorizzato da un mecenate influente e vicino al Campidoglio.

Invece tramite tweet, che ormai non esiste altra comunicazione istituzionale che riempia il silenzio assordante del dicastero dei Beni culturali,   il Sottosegretario al Ministero dei Beni Culturali, la  pettinatissima Ilaria Borletti Buitoni, paragonata da Crozza a Moira Orfei per via, credo, dell’imponente acconciatura più che della competenza, ha fatto sapere che la statua che giace ormai quasi dimenticata da settimane, è abusiva, è stata collocata, si immagina con dispendio di automezzi, gru e operai, senza permesso alcuno del Comune, della Sovrintendenza, dei vigili, per non dire dei cittadini che ancora amano il bello.

Non ci resta dunque che aspettare che venga rimossa, anche se possiamo temere tempi biblici, poco inferiori all’asporto della Costa Concordia per non parlare del treno che giace sulla tratta Genova – Ventimiglia, monumento funebre all’onorabilità del Paese.

La sottosegretaria nota per essersi conquistata la candidatura grazie alla sua vocazione di mecenate munifica: fece a sua tempo una donazione di oltre   700.000 euro alla lista di  Scelta Civica di Mario Monti, membro influente del Consiglio di amministrazione del Fai, che lei presiedeva, punta il dito sull’inadempiente Comune, che non ha esercitato i necessari controlli e la doverosa sorveglianza. E ha ragione, ma come si piazza là un attrezzo simile, che non può vantare nemmeno uno sponsor, che quindi non fa cassetta, non si mangia in mezzo al panino, non serve a niente? Che sia brutta poco importa, potremmo dire a Roma, va a guarda’ il capello se non temessimo che la Borletti Buitoni lo prenda come una ulteriore irriverente allusione all’altro monumento, quello che inalbera sulla testa.

Perché se invece ci fosse un marchio, un imprenditore privato, una griffe, allora anche la più ingombrante struttura sarebbe non solo tollerata, ma addirittura gradita e desiderata, in barba a pareri delle sovrintendenze così sguarnite e impoverite da non potersi permettere nemmeno un biglietto del tram e costrette dalla cultura delle semplificazioni a un eloquente silenzio assenso a tutto, anche a immondi falansteri che bruttano arte e coprono bellezza.

L’ha proprio proclamato Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua Buitoni, il cui susseguirsi di cognomi evoca consigli d’amministrazione potenti, industrie operose, tintinnar  di monete e fruscii di azioni, insomma uno spot vivente del padronato. “E’ assolutamente impossibile che lo Stato abbia risorse sufficienti per ampliare l’offerta culturale senza ricorrere anche al sostegno dei volontari”. Quindi è necessario spezzare finalmente quell’improduttivo  «legame indissolubile» tra lo Stato e il patrimonio storico e artistico, per perseguire la profittevole modernizzazione, etsremo eufemismo per indicare alienazione dei beni comuni, svendita, concessione perenne a brand più o meno famosi del brand della cultura e dell’arte italiana. Aggiungendo che, visto che non ci sono quattrini, bisogna far buon viso lasciando allo Stato  solo la tutela, mentre la gestione dovrebbe essere affidata ai privati, con o senza fini di lucro.

Un’ideologia la sua che piace molto anche al sindaco di Roma, troppo distratto per accorgersi degli abusi edili o artistici, che si ripromette di seguire l’esempio dei premier passati o in carica partendo per missioni ufficiali col cappello in mano e equipaggiato di un dossier illustrativo si siti da “offrire” alla generosa benevolenza di sponsor e filantropi   privati per restyling, nuovi scavi e allestimenti che “valorizzino” – altro eufemismo per indicare lo sfruttamento intensivo a scopo pubblicitario o fiscale –  l’immenso patrimonio artistico della Capitale, dando una sferzata anche al turismo.  Si va dal Mausoleo di Augusto nell’omonima piazza al Criptoportico delle Terme di Traiano a Colle Oppio, dal Ludus Magnum al tempio di Giove grazie a un primo censimento  con tanto di foto, spiegazioni e preventivi, o stilato insieme alla Sovrintendenza capitolina.

Il Marino marziano diventa Marino piazzista e gli consigliamo una valigetta come i commessi viaggiatori di un tempo, con i modellini del Circo Massimo, già offerto tramite licitazione privata alla protezione di qualche disinteressato mecenate, di statute e palazzi, magari dentro a suggestive boules di vetro che se le scuoti casca la neve.. e speriamo caschi solo là, che è meglio non mettere alla prova i sindaci se fiocca su Roma.

 


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