Alle ore 16,37 del 12 Dicembre 1969, un’esplosione al numero 4 di piazza Fontana, nel pieno centro di Milano a pochi passi dal Duomo, devastò la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, provocando la morte di 17 vittime e oltre una novantina di feriti. La prima sbigottita spiegazione fu quella dello scoppio di una caldaia, ma ai soccorritori, che cercavano di farsi largo fra le macerie tra superstiti orrendamente dilaniati, fu subito chiaro che nessuna caldaia avrebbe mai potuto provocare un disastro del genere. Lo stesso giorno, scoppiarono a Roma altre tre bombe ed un altro ordigno venne trovato inesploso a Milano; episodi tutti riconducibili alla “strategia della tensione”, uno dei periodi più turbolenti e luttuosi nella storia della Repubblica italiana. La mattina del 15 dicembre, giorno dei funerali delle vittime, chi contava sulla paura e sull’indifferenza della popolazione, o peggio su reazioni esagitate, fu smentito dalla presenza spontanea di più di un milione di persone, cittadini decisi a contrastare qualsiasi colpo di mano.
Le indagini della Questura di Milano, dirette da Marcello Guida (Sergio Solli), furono impostate in un’unica direzione: la pista anarchica. Fu rapidamente trovato un “colpevole”, Pietro Valpreda (Stefano Scandaletti), ballerino senza scrittura, considerato elemento instabile ed esaltato. Figure centrali della vicenda furono quella dell’anarchico Giuseppe Pinelli (Pierfrancesco Favino) e del commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastrandrea); il 15 dicembre, dopo tre giorni di interrogatorio, Pinelli precipitò, in circostanze mai veramente chiarite, dalla finestra dell’ufficio di Calabresi, al quarto piano della Questura di Milano. Pur non essendo presente nella stanza, il nome di Calabresi resterà associato alla morte di Pinelli, all’ambiguità delle versioni date, all’atroce sospetto di violenze e torture. Contro il commissario iniziò una campagna diffamatoria che lo indicava come il vero responsabile della morte dell’uomo. Nonostante il tentativo di screditamento, Calabresi, non convinto dell’unilateralità delle indagini, continuò ad indagare per conto proprio, fino a scoprire un traffico di armi ed esplosivi NATO dalla Germania all’Italia, allo scopo di rifornire i movimenti ustascia croati e le cellule eversive neo-naziste italiane. Dopo molti mesi la verità venne a galla rivelando la matrice neofascista della bomba di Piazza Fontana e una cospirazione che legava ambienti neonazisti veneti a settori deviati dei servizi segreti; la massiccia partecipazione popolare ai funerali stroncò sul nascere il tentativo di golpe organizzato dal Principe Junio Valerio Borghese, scoraggiando i suoi protettori in alto loco. Il 15 maggio 1972 il commissario Calabresi venne assassinato sotto casa da un commando misterioso, l’azione non sarà mai rivendicata.
Questo è quanto racconta “Romanzo di una strage”: il ritratto dell’Italia di quarant’anni fa, un paese che stava per affrontare importanti riforme trovando continui ostacoli sul suo cammino. La bomba di Piazza Fontana inaugurò la lunga stagione di attentati e violenze degli anni di piombo. Nel corso di 33 anni vari processi si sono susseguiti nelle più varie sedi, concludendosi con sentenze contraddittorie e che non hanno fatto luce sui mandanti dell’attentato. Gli esecutori, Giovanni Ventura (Denis Fasolo) e Franco Freda (Giorgio Marchesi), sono stati assolti irrevocabilmente in appello al processo di Bari, sebbene la Corte di Cassazione di Milano, nel 2005, ha attribuito ai due capi di Ordine Nuovo la responsabilità della strage.
Per la giustizia italiana, quindi, la strage di piazza Fontana non ha colpevoli.
Dopo aver affrontato tematiche importanti legate alla nostra storia e alla società (“Sabato Italiano”, “Il delitto Pasolini”, “I cento passi”, “Sanguepazzo” e “La meglio gioventù”), Marco Tullio Giordana realizza un film che racconta una delle pagine più controverse e dolorose della storia d’Italia, la strage di Piazza Fontana. “Romanzo di una strage” è basato su una minuziosa ricostruzione dei fatti e l’intento del regista è quello di raccontare l’indicibile, cioè una di quelle verità fondamentali che in genere in Italia vengono coperte da altro portandola all’attenzione di un pubblico giovane, che della vicenda ha una conoscenza molto approssimativa.
La pellicola, sia pure attraverso le sue inevitabili necessarie semplificazioni, ha il merito di ricostruire un avvenimento controverso, fissandolo nella memoria dello spettatore. La narrazione senza reticenze, senza pregiudizi e senza interpretazioni di comodo, allinea i fatti salienti, raccontando le cose come sono avvenute e facendo i nomi di tutti i protagonisti, interpretati da un cast composto da alcuni tra i migliori attori italiani (Pierfrancesco Favino, Valerio Mastrandrea, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni, solo per citarne alcuni).
di Alessandro Burgio