Se si guardano le sue cifre in questi playoff: 15.9 punti, 5.5 rimbalzi e 9.3 assist non si può di certo criticarlo, contro Cleveland ha dominato senza mezzi termini e contro i Magic ha tenuto in mano la squadra come solo i veri campioni sapevano fare: le critiche arrivate in questi anni sembravano dover sparire di fronte a questa maturazione e per questi Celtics già si parlava di Big Four e non più Big Three come quando arrivò l’anello due stagioni fa. Ma poi queste finali contro i Lakers, talmente strane che probabilmente neanche Rondo ci sta capendo nulla, e lo si vede anche sul campo.
Le sue cifre sono calate tutte passando a 13.5 punti, 6 rimbalzi e 7.2 assist, ma quello che fa molto effetto è vedere le sue percentuali al tiro: 45.2% da due, 25% da tre, 23.5% ai liberi! La non-difesa di Bryant nei suoi confronti probabilmente lo sta mandando un po’ fuori ritmo e questo è un po’ un paradosso, il play dei biancoverdi sta segnando canestri difficilissimi in penetrazione andando a giocare contro i lunghi avversari, mentre con metri di spazio non riesce a metterla; dalla linea del tiro libero, poi, a questo livello un esterno dovrebbe tirare almeno con il 60% per non azzoppare troppo la sua franchigia.
Ma il punto più debole è proprio nel playmaking: molto spesso Rondo quando dovrebbe passare la palla ai compagni continua a palleggiare per 15 secondi per poi tirare dalla media distanza (che come abbiamo visto nelle percentuali non sembra essere la miglior scelta), altre volte quando ha lo spazio per tirare invece sceglie di fare passaggi troppo difficili. L’intesa con Ray Allen è piuttosto limitata e anche la sintonia tra i due sembra piuttosto difficile, tanto che spesso i loro sguardi non si sono incrociati; ma le incomprensioni ci sono state anche con Pierce, una, molto evidente, in gara 4 quando Rondo alla fine del secondo quarto ha deciso di tenersi la palla per l’ultimo tiro al posto di passarla al suo capitano, che com’è ovvio non ha apprezzato e l’ha fatto notare piuttosto apertamente.
I Celtics ripartono comunque da lui per il futuro perchè l’anno di nascita dice 1986 e la maturità raggiunta da questo ragazzo è già grandissima, visto che può vantare già un anello, mentre un altro è ad un passo da infilarselo al dito. Di lavoro per migliorare ce n’è un bel po’ da fare, a partire dal tiro e per finire con la diminuzione della propria autostima che alcune volte lo porta a strafare; la voglia però ce l’ha sempre messa in tutto quello che ha fatto quindi non ci sarebbe da stupirsi se fra due anni fosse lui il leader maximo dei Celtics.