Mi chiamo Luca, Luca Martini, ma per tutti, per molti anni, sono stato rosario. Sì, rosario, con l'erre minuscola, perché proprio quella sfilza di grani di madreperla con un uomo appeso alla croce mi dette una nuova vita e un nuovo nome. Fu un battesimo in sordina, niente di preparato o voluto, perché il mio concepimento e la mia nascita furono casuali. Nacqui senza dolore, anzi, ero strafelice, avvolto nella più calda delle coperte: l'alcool. I primi vagiti -me lo ricordo bene- li emisi una sera di Novembre in compagnia di amici. Dopo di allora, ho bevuto per dieci anni, tutti giorni, perdendo moglie, figli, lavoro, amici e... ma santo cielo, ancora non sapete perché mi chiamavano rosario! Beh, se avete pazienza ve lo spiego.
Quando il mio alcolismo divenne cronico, i miei familiari e amici cercarono in tutti modi di farmi smettere di bere: mi consigliarono addirittura l'ipnosi, grazie alla quale avrei dovuto sostituire l'alcool con l'acqua. Certo, sulle prime funzionò, ma poi tutto si risolse in sbronze ancora più pesanti. Niente riusciva a svegliarmi dal torpore e dai sogni a occhi aperti che da un quaranta gradi, di qualsiasi cosa, fosse pure alcool denaturato bevuto tutto d'un fiato di primo mattino, scaturivano, fino a che mia madre, disperata, mi disse di tenere al collo la corona del rosario- che certo mi avrebbe protetto- e di recitare un mistero ogni qual volta fossi tentato dalla voglia bere. Avevo provato di tutto, perché non provare con la Madonna? E così me lo misi al collo e per un paio di settimane funzionò ed ero molto felice, anche se con la gola secca. Eh... che brutto affare la gola secca! Ti fa sembrare il mondo piccolo, noioso, quasi inutile, per cui un po' ti controlli e non bevi, ma poi cedi, e bevi di nuovo. E così accadde. Solo che non volevo scandalizzare mia madre, cui l'alcool aveva tolto un figlio e minato la fiducia nella Madonna e in suo Figlio. Tutti coloro che non hanno conosciuto la Sete (sì, quella con la esse maiuscola!) dicono che sia la fame ad aguzzare l'ingegno, ma ne è l'alcool la vera sublimazione. Io, per togliermi da quell'impasse, inventai la bevanda che toglie la sete, rinfranca lo spirito e non delude la madre. Infatti, imparai a bere e a pregare. Prima di ogni un bicchiere recitavo l'Ave Maria, i Gloria e il Padrenostro, dipendentemente dal punto in cui ero arrivato, giorno per giorno, recitando la corona. Sempre, però, quando arrivavo al Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo bevevo un bicchiere per ognuna delle tre persone. In una giornata potevo macinare anche una ventina di rosari.
Questo mi accadeva nei bar, perché non mi è mai piaciuto sbronzarmi da solo, così potete immaginarvi quale fosse l'effetto sugli altri avventori, tutti conoscenti, perché il mio paese è piccolo. Non che dessi noia, ma si sa com'è la gente, anche se ti conosce non ti capisce, tutt'al più ti ascolta. E infatti mi ascoltavano, tra una partita di carte e l'altra. I più, ridendo, lasciavano che recitassi le mie corone, gli altri rimanevano indifferenti. Solo qualcuno si faceva il segno della croce e, forse, seppur mentalmente, recitava qualche mistero con me.
Ad Iesum per Mariam dicono gli illustri uomini di Chiesa, ed è vero perché quel Gesù crocifisso, che interrompeva la sfilza dei grani di madreperla e che era forgiato nell'oro, divenne a poco a poco il mio più caro amico. Lo notai per la prima volta una notte in un bar, chiudendo un occhio, altrimenti, tanto ero sbronzo, avrei visto con lui fratelli e cugini. Da allora, con lui al mio fianco, sobrio compagno di bevute, trovai un interlocutore capace di ascoltare tutto quanto uscisse dalla mia bocca e dalla mia mente. Che chiacchierate che ci facevamo! Gli confidavo, sottovoce, problemi, speranze , gioie e paure, nonché i fatterelli del giorno. Tutti coloro che assistevano cercavano inutilmente di carpire qualcosa dei nostri dialoghi o, almeno, capire perché ridessimo o ci arrabbiassimo, ma senza mai riuscirci. Si faceva silenzio nel bar appena qualcuno, sfottendoci, diceva: ”Shhhh...parla con Gesù”. Io credo che in fondo, pur sfottendoci, nutrissero una qualche forma di rispetto sia per me, sia per Lui. Solo una volta uno dei giocatori di carte, offendendoci, bestemmiò , come se la carta mancante avesse una qualche relazione con me o Gesù. Mi alzai con calma dal mio sgabello e mi diressi verso di lui con l'intenzione di vendicare l'affronto. Con la lingua che sembrava un appendice di gomma gli chiesi cosa avesse detto. Cosa che lui fece quasi urlando. Mi avventai su di lui per picchiarlo ma, prima che lo facessi, fui colpito dai suoi occhi teneri e delusi. Quell'attimo d'incertezza fece si che un destro mi colpisse in pieno volto facendomi stramazzare a terra sanguinante. Fortuna che gli altri intervennero, altrimenti ne sarei uscito pesto. Inoltre, coloro che mi avevano difeso, mi dettero ragione, tanto che il giorno dopo obbligarono colui che mi aveva colpito a chiedermi scusa, scuse che accettai di cuore, come pervicacemente sostiene il mio amico, Gesù.
Non pensate però che ci fossero solo coloro che sfottevano, picchiavano o pregavano. Sul mio conto le voci erano molteplici. La mia amicizia così importante faceva sì che qualcuno mi ritenesse non un alcolizzato, un pazzo visionario, ma uno di quelli che in Russia chiamano “i folli di Dio”. Certo non andavo di villaggio in villaggio come loro, ma di bar in bar sì! Ed è così che iniziò il periodo delle sbronze di suffragio, che mandarono su tutte le furie il parroco, il quale, mandatomi a chiamare, m'intimò di non prendere in giro le povere vedove o i genitori che mi chiedevano preghiere per i defunti o per i figli malati o deceduti, pena l'inferno perché il Vangelo parla chiaro: nel regno di Dio non c'è posto per gli ubriaconi, anche se sedicenti amici di Gesù. Inoltre mi rivolse questa domanda: ”Perché lo fai? Non t'importa di finire all'inferno?”
“No!” gli risposi” poi, sbronzo, aggiunsi che io ero per grazia di Dio uomo e cristiano; per vocazione pellegrino, del ceto più basso, di bar in bar: un alcolizzato. Lo so, parafrasai spudoratamente un bellissimo libro, letto distrattamente durante una delle mie solenni sbronze; ma che importa la sua unica preoccupazione fu ricordarmi che l'ubriachezza né con il cattolicesimo, né con l'esicasmo, per cui prima dovevo smettere di bere e poi correre a confessarmi.
Sinceramente disattesi quanto mi fu intimato e accettai sempre l'offerta spontanea dei richiedenti preghiere, che consisteva sempre in qualche bevuta gratis. Assolvevo il mio compito con il massimo della dedizione: prima recitavo una corona (che solitamente m'impegnava una bottiglia), poi con il gomito, richiamavo l'attenzione di Gesù, sempre al mio fianco sul tavolo o bancone del bar, sul caso propostomi. Insomma peroravo la causa con fervore, certo che, anche se non subito e nei modi che noi uomini possiamo prevedere, Gesù sarebbe intervenuto (allora pensavo che ciò che fa di un uomo un frate, è la certezza che, qualsiasi cosa accada, c'è Gesù). Quanti santini ho benedetto! Li mettevano in silenzio sotto il crocefisso tutti quelli che facevano mestieri pericolosi o macinavano chilometri con il camion o la macchina. Gente generosa sapete, i camionisti; le migliori bottiglie del bar passavano dalle mie labbra, mentre pregavo per la loro e l'altrui sicurezza!
Ecco ora sapete perché mi chiamavano rosario; ma ancora ignorate come smisi di bere, come, in un certo senso, morii. Accadde all'improvviso e con il bicchiere in mano, il primo della giornata. Appena giunsero al palato le prime gocce di alcool, provai disgusto e mi chiesi che senso avesse bere e, seppur già pagato, lasciai il bicchiere pieno sul banco, tra lo sbigottimento del barista e dei suoi clienti, che mi conoscevano. Dopodiché m'incamminai verso il fiume che scorre sotto il paese e una a una gettai nell'acqua tutti grani del rosario che mia madre mi aveva donato. Per ultimo gettai Lui, il mio amico, Gesù. Da allora non ho più bevuto. Adesso tutti mi chiamano con il nome di battesimo: Luca, Luca Martini. Mia moglie e i miei figli sono tornati; mi hanno riassunto al lavoro, mentre mia madre è morta felice, convinta che Gesù gli abbia fatta la grazia, ma nessuno potrà mai comprendere quanto adesso mi senta solo.