Succede a tutti noi, a volte, di pensare troppo, ovvero di focalizzare la nostra attenzione su una data situazione, su un problema, o su un evento di vita, esaminandolo in maniera dettagliata, analizzandone le cause, le conseguenze e le emozioni che ne derivano; ma se tale modalità di pensiero diviene un processo quotidiano, continuativo e prolungato, può rappresentare un vero e proprio problema!
Il “pensare troppo” è chiamato in letteratura: ruminazione mentale. Esistono diverse definizioni di ruminazione mentale tra cui quella di Martin e Tesser (1996) che la definiscono come:” insieme di pensieri ripetitivi che tendono a proporsi ripetutamente e in modo intrusivo penetrando la mente dell’individuo anche contro la propria volontà e, di conseguenza, ostacolando l’attività corrente”.
Nolen-Hoeksema (1991) individua la ruminazione come totalmente disadattiva:” essa è intesa come un’attenzione focalizzata sugli stati d’umore negativo ed è un antecedente significativo della depressione“. Secondo l’autrice infatti la ruminazione prolunga e accentua i sintomi depressivi, attiva pensieri e ricordi negativi ed ostacola le capacità di problem solving (risoluzione dei problemi) impedendo di fronteggiare in maniera adeguata le situazioni di vita quotidiana; può inoltre provocare isolamento sociale (il pensare troppo può spesso portare l’individuo a essere “pesante” e logorante nelle relazioni con gli altri, tanto da portarli a prendere le distanze).
La letteratura suggerisce che le donne hanno una maggiore tendenza a ruminare rispetto agli uomini e ciò, a sua volta, le rende più propense a sviluppare disturbi emotivi come la depressione, poiché la ruminazione porta all’uso di stili di risposta passivi che non consentono di fronteggiare adeguatamente le diverse situazioni di vita quotidiana.
Questa maggiore propensione, da parte delle donne, potrebbe essere spiegata da alcune caratteristiche individuali (Nolen-Hoeksema e Jackson, 2001): in primo luogo, rispetto agli uomini, le donne sono più propense a credere di avere uno scarso controllo sulle emozioni negative. Tale credenza deriva dal mancato apprendimento di strategie di coping più attive durante l’infanzia. Nel caso specifico, emerge che mentre alle bambine non sono insegnate, da parte dei genitori, strategie di coping attive per fronteggiare stati d’umore negativi, rischiando inconsapevolmente di rinforzare la ruminazione, nei bambini è vietata qualsiasi manifestazione di emozioni come paura e tristezza, spingendoli ad attivare stili di risposta più attivi come la distrazione o la costruttiva risoluzione dei problemi; in secondo luogo, rispetto agli uomini, le donne si sentono più responsabili delle emozioni che manifestano nelle relazioni con gli altri e avvertono la necessità di mantenere rapporti positivi a tutti i costi ponendo attenzione ad ogni sfumatura dei loro rapporti; in terzo luogo, hanno una maggiore percezione di scarso controllo sugli eventi di vita importanti rispetto agli uomini e ciò contribuisce ad incrementare la ruminazione.
In conclusione, la ruminazione può essere davvero deleteria per la nostra quotidianità e non solo, poiché costituisce un fattore di rischio per la depressione; rafforza i pensieri negativi; interferisce con la soluzione interpersonale dei problemi; indebolisce la motivazione a impegnarsi nel comportamento strumentale ed ostacola le relazioni sociali. Per tali motivi, è opportuno imparare a sottrarsi da questa modalità di pensiero così disadattiva e a fronteggiare le situazioni di vita quotidiana con maggiore obiettività e distacco, in modo da non farsi risucchiare nel vortice di queste emozioni negative.