Articolo inviato al blog
di: mcc43
Il “Consolato” era la US Special Mission Benghazi
Rapporti con le milizie locali
Indagini FBI sorprendentemente lente
La pista non battuta: la vendetta islamista
L’Ambasciatore lasciato solo
Nulla di quello che accade in Libia rimane nelle ore successive come appariva all’impronta. Difficile comprendere, ancora più difficile raccontare connessioni sovrapposizioni discordanze che formano l’impalcatura dell’enigma. Costringere le società a ragionare “sul falso” nell’informazione è il metodo del Nuovo Ordine Mondiale che fa apparire ai più come liberatorie clamorose azioni di Anonymous o Wikileaks, sulle quali si dovrebbe nutrire il sospetto che siano le più subdole tattiche della falsa narrazione.
L’attacco che a Bengasi ha ucciso l’ambasciatore Chris Stevens e altri americani con lui è avvenuto durante la fiumana di manifestazioni seguite a una delle tante provocazioni contro l’Islam ed è su questo sfondo che il Dipartimento di Stato USA ha inizialmente collocato il fatto. Versione che si è via via sgretolata sotto l’incalzare del Partito Repubblicano, dei resoconti dei reporter CNN (ved. L’11 settembre della Libia e degli USA ) e successivamente del Washington Post, che facevano emergere le recenti perplessità di Stevens sulla sicurezza a Bengasi, l’incomprensibile lassismo nel potenziare le misure cautelative, la non attuazione del piano predisposto fin da settembre 2011 per una pronta reazione ad eventuali attacchi (immagine in fondo al post).
Questo articolo In Libya, contingency plan seemed to go awry during attack on U.S. outpost è un raro esempio di magistrale giornalismo investigativo da parte del Washington Post che ha altresì sottolineato lo stupefacente precipitoso abbandono dell’edificio .Il ritiro del personale americano nelle ore succesive all’attacco era comprensibilissimo per i civili, non per gli addetti a compiti di controllo e sicurezza che avrebbero dovuto presidiare l’edificio per mantenere intatta la scena in attesa delle squadre investigative.
Che cos’era il “Consolato” di Bengasi?
Il documento rinvenuto dal WP, che riporta ora per ora gli impegni dell’Ambasciatore – lo si può leggere in questo Pdf,- non definisce la sede come consolare ma come US Special Mission Benghazi. L’aggettivo Special è più consonante con CIA che con Corpo Diplomatico. Scorrendo gli impegni dei giorni intorno all’11 si scopre che l’attività “diplomatica” somigliava a quella di un incaricato di affari, fitta di questioni petrolifere da trattare con la AGOCO; oltre alle cerimonie e incontri per la promozione di contatti culturali dei giovani libici con gli USA.
In quali rapporti era Stevens con le milizie bengasine?
Un articolo di Eli Lake, corrispondente di Newsweek, pubblicato nel sito di informazione controcorrente The Daily Beast, informa di un dispaccio di Stevens inviato il giorno stesso della morte nel quale riferisce di un colloquio con le milizie che controllano l’ordine pubblico a Bengasi. Nomina due leader miliziani che accusano gli USA di sostenere la nomina di Mahmoud Jibril a primo Premier eletto della nuova Libia (come si sa il voto del Congresso – meno di 24 h dopo l’attentato – l’ha visto sconfitto per due voti da Mustafa Abushagur).
Avvenendo questo, minacciava il miliziano Ahmed bin al-Gharabi , “non avrebbe continuato a garantirgli la sicurezza“, compito svolto fino ad allora.
Ciò conferma sia l’intromissione pesante del governo americano nella vita politica libica, a garanzia dei propri interessi economici e a fini elettorali, sia l’avversione da parte delle milizie, di cui la debole autorità di Tripoli ha bisogno. Le dichiarazioni del presidente del Congresso Magarief sull’esistenza di milizie “autorizzate e non autorizzate” sono risibili: molti miliziani sono contemporaneamente parte dell’esercito indipendentemente dalla loro affiliazione a gruppi armati privati. La campagna per la restituzione delle armi da parte dei cittadini è stata poco più di uno show, collegata com’era a una lotteria a premi (!) e la manifestazione Save Benghazialtrettanto di facciata, poiché terminata in scontri con “alcune milizie”. Soprattutto, si è detto, contro Ansar al Sharia che stava garantendo efficacemente la sicurezza dall’ospedale; c’è chi afferma che l’incarico dipendeva dal fatto che il direttore dell’ospedale e il capo della milizia sono fratelli. Interessi privati, azione pubblica, manifestazioni e altro non hanno soltanto il significato che si vuol loro attribuire.
Perché il team FBI, inviato senza fretta, è rimasto a Tripoli fermo per giorni?
Non so immaginare dopo il crollo del muto di Berlino un altro paese con cui gli Stati Uniti avrebbero mostrato un tale aplomb sul cadavere di un loro Ambasciatore. Assumere una posizione forte con la Libia sarebbe per i loro scopi controproducente?
Le investigazioni torpide sono un inciucio con delle componenti del business o della politica della Libia?
Gli Stati Uniti hanno la coda di paglia e non possono alzare la voce?
Il NYTimes riportava una dichiarazione dell’allora premier Abushagur che affermava di esser venuto a conoscenza delle attività svolte nel “consolato” dal Wall Street Journal e successivamente all’attacco, aggiungendo: “Non abbiamo problemi a condividere l’attività di intelligence, ma la nostra sovranità è un punto chiave” .
Fatto sta che il team FBI è arrivato a Tripoli solo il 19 e ha dovuto attendere il 3 ottobre per recarsi a Benghazi. Il Dipartimento di Stato si difende con “non crediate che le investigazioni avvengano solo nel compound” e accampa ragioni di sicurezza. Richiede tanto tempo preparare una scorta armata per una visita che è durata in tutto 13 ore? E perchè non vi sono state sdegnate dichiariazioni sull’assenza di presidio al compound dove oltre ai reporter aveva facile accesso chiunque, per prelevare… o per deporre, magari dei documenti.
Appare più credibile la dichiarazione di un portavoce del Governo libico riferita da Reuters: Usa e Libia dovevano accordarsi sul ruolo che le due parti avrebbero avuto nell’investigazione congiunta. Ognuno ha i suoi altarini da tenere nascosti…
Poteva avere Stevens dei nemici personali?
Alcuni, ma non i grandi media, si sono chiesti se non sia stato pericoloso, in quanto provocatorio, inviare in un paese islamico, travagliato da presenze islamiste armate, un rappresentante nella cui rispettabile vita privata c’era la particolarità di essere omosessuale.
Nel profilo FB del suo amico Austin Tichenor vi sono commenti alle foto del giovane Stevens che lo confermano, non si comprende per quale ragione il Dipartimento di stato non dia aperta assicurazione di indagini in corso anche sul versante di un’assurda vendetta privata o di uno scoppio di odio fondamentalista. Timori di suscitare polemiche del/contro le comunità omosessuali? Questo impedisce di controbattere con assoluta certezza le “rivelazioni” di una gola profonda nel sito libanese Tayyar circa azioni dispregiative commesse su Stevens e il trascinamento per strada del suo corpo inanimato.
Perchè l’Ambasciatore è rimasto solo mentre gli altri si mettevano in salvo?
Gravemente oscuro resta il meccanismo per cui l’ambasciatore sarebbe stato rinvenuto nella stanza senza finestre da solo.
Quanti avrebbero dovuto essere i suoi personali bodygard? Erano militari o contractor privati? Una delle vittime Glen Doherty era congedato dai Marine e prestava servizio privato come contractors, perchè non dirlo apertamente?
Non si comprende la premura di diffondere il video di un freelance bengasino in termini elogiativi dei “buoni samaritani” che soccorrono Stevens. Chiunque sa che estraendo un frammento da un filmato più lungo si può cambiare il significato dell’azione; le frasi dei soccorritori che ringraziano Dio perchè l’uomo è ancora in vita non spiegano le intenzioni, essendo Stevens arrivato cadavere all’ospedale .
Erano, nel migliore dei casi, intrusi penetrati dentro il compound la cui identità è rimasta ufficialmente ignota. Ad eccezione di chi si fa intervistare dai reporter, ma già nel caso della cattura di Gheddafi avevamo assistito a una fioritura di affabulatori.
Provvedimento di Washington, non dichiarato ma impossibile da nascondere, è aver aumentato le attività dell’aviazione nel Mediterraneo nell’immediatezza dell’attacco. Per il resto la Casa Bianca ha farfugliato, dilazionato o taciuto le spiegazioni, rendendo appropriate le richieste avanzate da taluni di dimissioni dei portavoce del Dipartimento di Stato e non del tutto assurdo il sospetto espresso nel titolo di questo articolo di Libya360°
WAS HILLARY CLINTON BEHIND THE ASSASSINATION OF CHRIS STEVENS?
e il 10 ottobre ancora da Washington Post:
Benghazi attack may cloud Clinton’s legacy
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Allo stato dei fatti, certamente ci si può chiedere, come in questo articolo di Global Reserch,
BENGHAZI ATTACK AND AMBASSADOR STEVENS: WHY “THE SOUND OF SILENCE”?
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Il piano di sicurezza non attuato
LINK: http://mcc43.wordpress.com/2012/10/09/i-rumorosi-silenzi-sulluccisione-di-chris-stevens-a-bengasi/
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Tags: Chris Stevens, gheddafi, libia, primavera araba, Usa