Articolo di Antonio Conte - La metafora dell’ombra non può far a meno, al pari delle altre metafore, di illuminare il lettore di nuova saggezza. L’opera compiuta da Pirandello, di grande valenza umanistica per l’analisi interiore che propone all’Uomo, svela aspetti originali, curiosi e sovversivi nella identità dei suoi personaggi.
Essi scoprono il loro “Se” ed imparano ad apprezzare la compagnia della propria coscienza o a disprezzarla, in ogni caso sottolineando, in un moto pessimistico di fondo, la dissoluzione della coscienza nell’uomo moderno. Egli narrandosi nella solitudine dei propri “monologhi dialogici”, fa emergere i segni della incapace condivisione esistenziale con il proprio prossimo, ed infine marcando l’assenza del progresso della propria emancipazione.
L’”Uomo” di Pirandello è solo con la propria inetta esistenza e galleggia in un limbo in cui genera pensieri tortuosi e frammentati, male accostati in una lucida follia che accompagna il suo parlarsi dentro.
Quel parlare interiore che, in seguito, la scuola di Philadelphia con la Psicanalisi cognitiva indicheranno come la strada della guarigione dal “male moderno” indicato già da Freud. E dunque, forse l’opera di Pirandello va valutata anche in chiave terapeutica?
La Metafora dell’ombra è un tema interessante, ma affatto originale, eppure Pirandello lo ha ripreso efficacemente dandogli nuova vitalità. Già Platone parlava di quelle persone schive e timorose come di “coloro che hanno perfino paura della propria ombra”.
Tuttavia volendo comprendere come la coscienza dell’uomo moderno, incarnata da Pirandello dalla metafora dell’ombra, si interseca con le sue opere, “Saggio sull’umorismo” e con “Il fu Mattia Pascal”, dobbiamo restringere l’analisi al tema e resistere alla tentazione di amplificarne il campo di azione ed auto esonerarci dall’indagare i vari significati.
Avremmo potuto indagare la metafora dell’ombra viaggiando nel tempo, nel pensiero di vari autori, o nello spazio siderale spiegando anche le ragioni universali delle ombre eclittiche, oppure quelle ombre, minime e necessarie, delle meridiane per indicare il tempo.
Ma ahimè il tempo che il lettore ci dedica è sempre poco e queste colonne trovano poco agio in questa terza pagina, lo spazio è così ridotto che ancora una volta si impone alla ricerca del senso la severità del conciso.
Eviteremo dunque il racconto di storie impressionistiche delle giornate domenicali passate tra freschi chioschi ombrosi e animati da bambini festanti.
E, ahimè anche le storie notturne di fatti drammatici ed inspiegabili, magari accaduti all’ombra di cospirazioni internazionali. Ne ricorderemo i racconti, alla Edgar Allan Poe, in cui tristi figuri (od operatori di bene) si impegnano per portare (o dipanare) “le ombre del sospetto” dall’immagine di alcuni potenti della zona, i cui fatti – potrebbe essere – vengono alla luce grazie ai familiari che “viveva nella sua ombra”.
Che peccato, che ghiotta occasione sarebbe stata questa, per svelare segreti “coperti dall’ombra” di uomini senza nome in temi ecclesiastici: si narra che taluni vendettero le propria “ombra al diavolo”, mentre altri rimasero senza “l’ombra di un quattrino”.
Ma tornando alle “ombre pirandelliane” ed alla sua vocazione per l’umorismo, egli non poteva trascurare l’analisi del “Se” dei suoi personaggi ed il loro rapporto con il mondo esterno: del loro rapporto con le cose e con i loro altri “Se” ma anche del rapporto di questi che hanno con il “Se” dei personaggi.
E’ chiaro anche che Pirandello ne fa una valenza Universale – ovvero, vale per tutti gli uomini – ed a giudicare dal Premio Nobel che ha ricevuto pare proprio che questi altri lo abbiamo ben considerato, anche attraverso il dialogo che egli intrattiene con le ombre dei suoi personaggi.
E per noi Uomini post-moderni, la cui ombra è solo un’ombra – finché non inizia a parlarci – tale conferma, dovrebbe essere in qualche modo, fonte di conforto.
Ma Pirandello, come vedremo meglio nel seguito di queste colonne, sa – e ce lo racconta con dovizia di analisi in una soverchiante produzione di opere teatrali, saggi e romanzi – che a differenza di tutte le creature l’Uomo sa di “Se”, ovvero, che egli ama dire “l’uomo si vede vivere”.
E come dunque traduce, e sostanzia, questa sua eccellenza donata da Dio? Proprio con il “ragionamento interiore”, in cui la coscienza dell’uomo si sdoppia, si moltiplica sfrangiandosi e compiendo la dissoluzione del suo ”Se”.
Difatti nelle sue opere, come nel Saggio sull’Umorismo” descrivendo i suoi personaggi come artisti e/o umoristi, fa emergere il subbuglio dei sentimenti di essi, l’estremo bisogno che questi hanno di raccontarsi attraverso l’analisi dei loro comportamenti quotidiani e naturali ma anche dei comportamenti macchinosi riflessivi – e poi ancora auto riflessivi – dominati ora dal ragionamento del “Se”, ora dal ragionamento come visto dall’esterno da una altro suo “Se”, e poi ancora da altri “Se”: alternativamente per tutta la vita, in un auto analisi continuo: come in un flusso vorticoso e ramificato.
L’espediente linguistico è quello della “metafora dell’ombra” usata come “artefatto culturale” per situare l’occasione dialogica, e quindi trarre l’analisi dal confronto, insieme all’uso di “artefatti tecnologici” come lo specchio che aiuta a creare il contesto in cui di fatto si ‘materializzano’ – se così si può dire – questi pensieri, acquisendone un senso narrativo.
Ma la ricerca di una legittimazione linguistica non si ferma.
A Pirandello non è bastato, come abbiamo visto, proiettare nell’ombra le più intime riflessioni dell’Uomo, ma, essendo la sua un’opera umoristica, si spinge oltre e, grazie all’uso magistrale delle figure retoriche come la “personificazione”, dona una nuova identità al “se” e con essa ne situa il dialogo: il personaggio si rivela, si confronta con l’ombra e a tratti si confonde scambiandosi, addirittura, nei ruoli: quell’ombra, ormai, non gli appartiene più ha una identità autonoma.
Succede ad Adriano Melis, identità in cui è subentrata l’identità di Mattia Pascal. Divenuto Adriano, scopre anche la sua ombra, e quindi la coscienza di quell’ombra, e cioè una identità nuova ed alienata: ma egli sa dove ora sia in realtà, la sua coscienza?
La percezione di un mondo possibile da parte dell’uomo scivola attraverso le identità vive, in quelle morte, ed infine in quelle inanimate: disgregandosi.
Queste trasfigurazioni non sono veri e propri passaggi, ma clonazioni temporanee di se, in cui ogni volta rimangono ancora un poco prima di svarire, in un tempo in cui si compie e si impone così, prepotentemente, un dialogo narrativo tra e con i ‘Se’ dei suoi personaggi.
Momento difficile per l’autore? Si, ma non vi è dubbio che il cambiamento dei tempi, propri del nuovo secolo con l’avvento di nuove culture, la situazione familiare di Pirandello e le sue relazioni personali concorrono a creare uno stato ispiratore di un nuovo genere narrativo, contemporaneo dei primi anni della psicanalisi, ovvero quella scienza moderna che traccia significati nuovi, quello del concetto di transfert di cui parla Freud: l’ascolto tecnico dello scienziato guaritore, doverosamente, e necessariamente – per la salvezza del lettore – refrattario alle emozioni del suo paziente.
Ebbene dicevamo, che la metafora dell’ombra è un’intelligente espediente tecnico linguistico del narratore per dare corpo, per così dire, al dialogo rivelatore di identità celate, nel mentre l’autore definisce la sua emancipazione di Umorista e non più di Artista.
E’ l’Umorista, quale eletto tra gli Artisti, ha dalla sua la consapevolezza del “Se”, in quanto egli solo può giocare con la propria ombra, farsi deridere, o lasciare che essa non si curi di chi invece la genera e la proietta.
Ma l’ombra pirandelliana, come si è detto è solo una variazione al tema, l’ennesima metafora per smontare la coscienza dell’uomo e mettere ‘alla luce’ la sua vera natura. Per Pirandello la vita non è che un flusso ininterrotto di pensieri, un fluido infinito di emozioni – finché dura – che gli altri colgono – dall’esterno – a tratti, ad istanti, come in fotografie di momenti che si cristallizzano: attimi beati, tristi, allegri, che siano. Fotografie esistenziali di un ‘Se’ sempre in contrasto con la realtà, in antagonismo tra ciò che sono e ciò che appaiono: ecco cosa genera l’umorismo, la percezione del contrario.
L’ombra, silenziosa, materializza la percezione di “Se” del personaggio, focalizza un’entità necessaria al meccanismo del ‘dialogo situato’ in cui viene simulato un dualismo monocratico.
Le figure retoriche aiutano molto Pirandello che così, dopo aver creato una entità, o meglio dopo averla animata, – rendendo consapevole il lettore che la percezione di se, non sempre coincide con la forma fisica del proprio corpo, ma va oltre – la personifica proiettando in essa non i sentimenti del personaggio, ma i sentimenti che il personaggio avrebbe provato trovandosi al posto dell’ombra, così essa può provare dolore, ed in modo diverso da come lo avrebbe provato lui, al passaggio del carro e sotto gli zoccoli di un cavallo e finanche sotto il leggero zampettare del cagnolino.
L’ombra può scivolare silenziosa, senza mai staccarsi dalla superficie che la raccoglie e la trattiene: inesorabilmente, in una forma. Una forma utile a Pirandello a descrivere nel suo cambiamento – si accorcia, si allunga – il cambiamento della coscienza. Mai uguale a se stessa.
Così come l’ombra è prigioniera di ciò che la raccoglie (è la silhouette), Mattia Pascal è prigioniero di Adriano Melis. Mattia Pascal era subentrato nell’identità di Adriano Meis, dopo la sa morte. Un espediente fatale per il protagonista di Pirandello perché nel momento in cui Mattia si rende conto di non poter essere pienamente se stesso, rimanendo nell’identità di Adriano, si accorgerà che di fatto Mattia per la società è già morto, per cui ciò rappresenta una impossibilità di un ritorno alla sua primogenita identità.
Naturalmente Mattia esclude – ovvero già Pirandello stesso ne preclude narrativamente la possibilità di uscita, in quel substrato pessimistico che lo caratterizza – di voler rivelare la verità e di rinascere, nel bene e nel male, attraverso una tale catarsi. Mattia non può tornare indietro a riprendersi al sua vita, perché per gli altri anche Mattia è morto.
Ma una speranza può esserci, se il personaggio può parlare alla sua ombra, aiutandolo a prendere coscienza di se, dei suoi limiti, può anche aiutarlo a cambiare umore, ed a migliorare i suoi sentimenti, evitando però trappole cognitive, diremmo oggi dell’estremismo, del totalitario, del pessimismo, ecc. Si può sperare così che in definitiva l’Uomo contemporaneo, possa costruirsi una visione migliore di un mondo possibile, e possa interagire con esso con nuovi comportamenti ed infine salvarsi. Se tuttavia si è in grado di apprezzare una giornata di sole, ombre comprese!
Antonio Conte