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SALAM GAZA – Poesie per l’urgenza di Gaza dalla pagina dei 100thousan poets for Change

Da Met Sambiase @metsambiase
(c) Kaled jarrar

(c) Kaled jarrar

SALAM GAZA – Poesie per l’urgenza di Gaza è una pagina aperta su Facebook dal gruppo territoriale di Bologna Modena e Reggio Emilia dei 100thousand Poets for Change. E’ un libro in progress per raccogliere poesie per Gaza in italiano, arabo, francese, spagnolo, russo, etc
ed usare la poesia per sostenere lo spirito di resistenza del popolo palestinese soggetto all’aggressione a al bombardamento di Israele. Le poesie che si stanno raccogliendo  (insieme a scritti, foto, video, notizie di letture poetiche e ancora altro) sono inconfutabilmente tante; il Golem femmina  ne prende solo una parte e vi invita a leggerle tutte sulla pagina. Alcune delle poesie raccolte non sono ancora tradotte in italiano: chiunque voglia prenderle e tradurre può liberamente farlo, l’importante è come sempre citarne l’autore\trice.
Restiamo umani. Restiamo umane. Tutti e tutte noi.

(c) Paolo Pellegrin

(c) Paolo Pellegrin

Dal tipico kefiah palestinese
dal tremito della morte, e l’urlo della nascita
dalle torture della terra e dal battito della vita
dalle grida dei bambini
al momento della redenzione
il grido del sacrificio
a chi scriverò?
per chi le parole suoneranno in armonia fino alla morte
per chi camminerò e porterò i miei passi lungo l’universo
a chi racconterò la storia del nostro amore perso?
e preparerò come cuscino
il paradiso dei miei sogni
e inciderò le più belle parole sulla tua fronte splendente
dimentico che nonostante i miei lamenti ti amo
sono una storia passata che continuerà a vivere
nell’amore della tua memoria
quando le parole sono diventate fiamme nelle tue ferite
e tutte le forme d’amore sono divenute un gioco
continuerò a tenere i miei occhi aperti nel sole
e il mio cuore nel nome dell’amore
il mio indirizzo è sul cancello del dolore
continuerò
con il mio amore dentro una ferita profonda che illumina il buio
e sono passata a te
ho attraversato luoghi di dolore
ho superato la lava del vulcano
sono uscita dall’eco delle urla e dal calore delle parole
dai mali delle nostre penne
dalle montagne, dagli alberi
dalle nostre coste, dalle nostre sabbie,
dal nostro mare
e dal mio verde ulivo sono venuta a te

a te sono venuta
oh mio cuore
ai miei occhi alla mia terra,
nella mia vita gioisca
tu chiedi una parola per me
sei diventato una canzone.

Hanan Awward

Ho dimenticato di essere un beduino

che vaga nel deserto
vaga nel deserto
per far sorgere le fonti
e costruire centinaia di belle città
nella poesia appesa nelle tende della cava
e sulle tracce di kefiah
per spandersi in ogni terra
dal momento che io non ho neanche una terra
io non ho terra

Ali Al Khalili

“Un attimo”
Desidero solo silenzio e quiete,
non parlarmi di cose del passato e del futuro
non parlarmi di ieri e non andare
all’indomani.
Questo attimo, per me,
non ha nè prima nè dopo
non ha più senso
ieri è scomparso quali echi e ombre
e l’ignoto domani si dilaga lontano
e non si vede più
sarà forse diverso di quanto han disegnato
le mani dai sogni tuoi e miei,
diverso di quanto desideriamo?
Questo attimo, e non altri tempi,
è un fiore che si apre nelle nostre mani:
senza frutti senza radici
ma è solo un fiore di spontanea bellezza,
teniamolo bene prima che si trappi,
amore mio!

Fadwa Toqan

Silenzio per Gaza

Si è legata l’esplosivo alla vita
e si è fatta esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
E’ il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate da ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
E’ l’arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni,
sedotto dal filtrare col tempo, eccetto a Gaza.
Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici,
perché Gaza è un’isola.
Ogni volta che esplode,
e non smette mai di farlo,
sfregia il volto del nemico,
spezza i suoi sogni
e ne interrompe l’idillio con il tempo.
Perché il tempo a Gaza è un’altra cosa,
perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale.
Non spinge la gente alla fredda contemplazione,
ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà.
Il tempo laggiù non porta i bambini
dall’infanzia immediatamente alla vecchiaia,
ma li rende uomini al primo incontro con il nemico.
Il tempo a Gaza non è relax,
ma un assalto di calura cocente.
Perché i valori a Gaza sono diversi,
completamente diversi.
L’unico valore di chi vive sotto occupazione
è il grado di resistenza all’occupante.
Questa è l’unica competizione in corso laggiù.
E Gaza è dedita all’esercizio
di questo insigne e crudele valore
che non ha imparato dai libri
o dai corsi accelerati per corrispondenza,
né dalle fanfare spiegate della propaganda
o dalle canzoni patriottiche.
L’ha imparato soltanto dall’esperienza
e dal duro lavoro
che non è svolto in funzione della pubblicità
o del ritorno d’immagine.
Gaza non si vanta delle sue armi,
né del suo spirito rivoluzionario,
né del suo bilancio.
Lei offre la sua pellaccia dura,
agisce di spontanea volontà
e offre il suo sangue.
Gaza non è un fine oratore,
non ha gola.
E’ la sua pelle a parlare
attraverso il sangue, il sudore, le fiamme.
Per questo, il nemico la odia fino alla morte,
la teme fino al punto di commettere crimini
e cerca di affogarla
nel mare, nel deserto, nel sangue.
Per questo, gli amici e i suoi cari la amano
con un pudore che sfiora quasi la gelosia
e talvolta la paura,
perché Gaza è barbara lezione
e luminoso esempio
sia per i nemici che per gli amici.
Gaza non è la città più bella.
Il suo litorale non è più blu di quello di altre città arabe.
Le sue arance non sono le migliori del bacino del Mediterraneo.
Gaza non è la città più ricca.
(Pesce, arance, sabbia,
tende abbandonate al vento,
merce di contrabbando,
braccia a noleggio.)
Non è la città più raffinata,
né la più grande,
ma equivale alla storia di una nazione.
Perché, agli occhi dei nemici,
è la più ripugnante,
la più povera,
la più disgraziata,
la più feroce di tutti noi.
Perché è la più abile a guastare l’umore
e il riposo del nemico
ed è il suo incubo.
Perché è arance esplosive,
bambini senza infanzia,
vecchi senza vecchiaia,
donne senza desideri.
Proprio perché è tutte queste cose,
lei è la più bella,
la più pura,
la più ricca,
la più degna d’amore tra tutti noi.
Facciamo torto a Gaza quando cerchiamo le sue poesie.
Non sfiguriamone la bellezza
che risiede nel suo essere priva di poesia.
Al contrario, noi abbiamo cercato
di sconfiggere il nemico con le poesie,
abbiamo creduto in noi
e ci siamo rallegrati vedendo
che il nemico ci lasciava cantare
e noi lo lasciavamo vincere.
Nel mentre che le poesie
si seccavano sulle nostre labbra,
il nemico aveva già finito
di costruire strade, città, fortificazioni.
Facciamo torto a Gaza
quando la trasformiamo in un mito
perché potremmo odiarla
scoprendo che non è niente più
di una piccola e povera città
che resiste.
Quando ci chiediamo cos’è che l’ha resa un mito,
dovremmo mandare in pezzi tutti i nostri specchi
e piangere
se avessimo un po’ di dignità,
o dovremmo maledirla
se rifiutassimo di ribellarci contro noi stessi.
Faremmo torto a Gaza
se la glorificassimo.
Perché la nostra fascinazione per lei ci porterà ad aspettarla.
Ma Gaza non verrà da noi,
non ci libererà.
Non ha cavalleria,
né aeronautica,
né bacchetta magica,
né uffici di rappresentanza nelle capitali straniere.
In un colpo solo, Gaza si scrolla di dosso i nostri attributi,
la nostra lingua e i suoi invasori.
Se la incontrassimo in sogno
forse non ci riconoscerebbe,
perché lei ha natali di fuoco
e noi natali d’attesa
e di pianti per le case perdute.
Vero, Gaza ha circostanze particolari
e tradizioni rivoluzionarie particolari.
(Diciamo così non per giustificarci, ma per liberarcene.)
Ma il suo segreto non è un mistero:
la sua coesa resistenza popolare sa benissimo cosa vuole
(vuole scrollarsi il nemico di dosso).
A Gaza il rapporto della resistenza con le masse
è lo stesso della pelle con l’osso
e non quello dell’insegnante con gli allievi.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in una professione.
La resistenza a Gaza non si è trasformata in un’istituzione.
Non ha accettato ordini da nessuno,
non ha affidato il proprio destino alla firma
né al marchio di nessuno.
Non le importa affatto se ne conosciamo o meno il nome,
l’immagine, l’eloquenza.
Non ha mai creduto di essere fotogenica,
né tantomeno di essere un evento mediatico.
Non si è mai messa in posa davanti alle telecamere
sfoderando un sorriso stampato.
Lei non vuole questo,
noi nemmeno.
La ferita di Gaza non è stata trasformata in pulpito per le prediche.
La cosa bella di Gaza è che noi non ne parliamo molto,
né incensiamo i suoi sogni
con la fragranza femminile delle nostre canzoni.
Per questo Gaza sarà un pessimo affare per gli allibratori.
Per questo, sarà un tesoro etico e morale
inestimabile per tutti gli arabi.
La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono,
niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale,
né la forma di governo palestinese
che fonderemo dalla parte est della Luna
o nella parte ovest di Marte,
quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
E’ dedita al dissenso:
fame e dissenso,
sete e dissenso,
diaspora e dissenso,
tortura e dissenso,
assedio e dissenso,
morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
(Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.)
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati
nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei:
non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte,
non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.

Mahmoud Darwish 1973

For Mahmoud Darwish, whispering his soul over Gaza

You were taken by a merciful death, Mahmoud
Lest phosphorous devour your heart
A chorus of stones answered
As the Strip lay awash in wrath
And a swallow looked and wept
As the bricks came unwrapped
And the song of ages drowned
The knocks of unmanned flight
As a tribe of pigeons cooed
a lone baby to sleep
through the night
And the ghosts of the olive groves
Bereft of poet
Sang the Buraq back to life.

January 2009

PINA PICCOLO

If I stretch my soul between the disintegrating
Earth and the pearly heaven
If I stretch it gently and embroider it
With red roses and white roses
With blue birds and opal butterflies
With meadows the colour of passionate green
If I do if I do
Then call to the children
Under the debris
Underneath the rubble
Further down below the mangled concrete and steel
If I call to them
To rise whole and healed
To rise to rise
Then guide them to the carpet of flowers
Stretching high high
Into the tall tall
Gates of a city of light
Blue here and golden there
Silvery above and rippling ultramarine below
Shining to the left
And gleaming to the right
If I do If I do
So that ,listening, I hear childish laughter
ringing in the city of light
from twinkling star to a glimmering pool
From an amber moon to a shimmering tower
If I do if I do
Will they forgive me?

©Alisar Iram

Grappes de colère sur les rides de mes pages.

Grappes d’avions
De bombes, d’explosifs
S’accrochent aux branches du firmament
Pour planter des clous
Partout à Gaza, ses rives
Ses terres tristes
Dans des corps innocents
Pour brûler vifs
Des enfants,
Des femmes,
Des hommes,
Des vieillards,
Qui ne sont pas guerriers
Qui ne sont pas soldats…
Vents de déceptions
Ivres nagent dans les flammes.
Blessée, meurt la colombe
Gicle le sang et dérive
Et sur le front de l’humanité
Toute l’humanité
S’abattent des raz de marée
De honte,
D’humiliation,
De détresse,
De perdition…
Cérémonies mortuaires
Veuves et orphelins en délire
Chantent les martyrs:
Ces anonymes
Qui sont partis tôt le matin,
Un jour
Sans tambour ni trompette,
En quête d’un gagne-pain perdu
D’un bonheur éphémère
D’un air pur que l’on respire
D’une atmosphère qui ne pue pas
La crasse et la misère
A cause d’une autorité coloniale,
Impériale,
Sioniste,
Raciste et fasciste,
D’une politique expansionniste
Pour guérir l’ambiance environnante
D’une épidémie mortelle
D’une oppression permanente
Qui se propage vite
Qui serre fortement les cœurs
Noircit la chasteté des mœurs
Mais ils sont revenus au bercail
Un soir,
Au crépuscule dans des bières…
Aux assassins récidivistes je dis :-
Moi qui trace sur les rides de mes pages
Des grappes de colère
Faites de paroles sages
Quand mes proches
Mes sœurs et frères palestiniens
Anéantis, disparaissent
Pris dans cet engrenage
Barbare et inhumain
Soûl de sang, de carnage -
Dieu est grand
Nos martyrs ne sont pas morts
Rien ne peut étouffer leurs voix
Qui se dégagent de leurs linceuls
Qui crient vengeance
Venger les affronts, les injures,
Les blessures, les usures
Pour goûter la saveur de la liberté
Respirer le parfum des oliviers et des tilleuls
Mettre en l’avenir toute la foi
En vertu de ces idées abstraites
” Paix, Honneur, Égalité
Justice et fraternité”
Qui pour reconstruire
Ont causé d’énormes dégâts.
(c) Mohammed Hachoum.

Pour Gaza

Pour Gaza,
J’écris,
Je pleure,
Je milite.

Pour Gaza,
On se manifeste,
On s’indigne,
On observe l’espoir.

Pour Gaza,
Mon sang agite,
Mon corps frémit
Ma plume écrit.

Pour Gaza,
Tout le monde
Doit être solidaire
Tout le monde doit réagir.

Pour Gaza,
Mes larmes,
Coulent en silence
Elles se révoltent.

Pour Gaza,
Nos enfants pleurent,
Nos femmes agitent
Et nos hommes bougent.

Pour Gaza,
La terre doit s’arrêter,
Afin de donner la liberté,
Aux palestiniens.

La terre doit s’arrêter,
Afin de juger les coupables
Afin d’essuyer les lames
Des victimes de guerres

On ne doit pas jouer et massacrer,
Les palestiniens afin de gagner les élections
C’est une honte pour tous les israéliens
Qui ont manifesté contre les bombardements

Pour Gaza,
J’enfile le canevas de l’histoire,
Avec les pleurs de mon sang
Pour Gaza je griffonne mes maux sur mes papiers.

Ö ! Peuples du monde,
Ö ! Justice du monde
Regardez la TV
Et écouter la Radio Palestine saigne.

Ö ! Peuples du monde,
Vous pouvez aider Palestine
Pour sa liberté et pour sa dignité
Et pour sa reconstruction.

Que dois- je faire,
Que dois-faire,
Dans un monde sourd
Dans un monde insensible,
Et esclave de la matière.
© FATTOUM ABIDI

another beer, guys?*

lead rains have fallen from skies of odium
and starred aircrafts are flying back to the hq

amos, shlomo and bram set up their camping chairs
and tables
on the hilltop in front
of the gaza border

they check the iphone batteries: they’re full
and so is the portable fridge
the coal in the barbecue is red hot
the golani brigade’s banner waves smugly
in the sundown breeze
the stereo blasts
metallica’s “kill’em all”

the buddies uncap three beers
and have a toast:
“l’chayim!”

one talmud song and
one selfie
as they wait for the next raid

thuds of shellfire
flashes of explosions
and palls of smoke
from the agonizing strip

“what a splendour…” sobs amos
“this is what i call a fucking gig!” shouts shlomo
“wooooo-ohhhh” grunts bram

a round of hi-tens
and they down the beers

harar and jijiga
warsaw
rotterdam
london
dresden
hamburg
chongqing
guernica
hiroshima
nagasaki
hanoi
beirut
belgrade
mururoa
grozny
kabul
baghdad
gaza
gaza
gaza…

fascists in different eras and
under different flags
have always had a flair for
crashing down cities
bodies
and spirits

their progenies chill on viewpoints with
a hot dog in one hand
and a binocular in the other

and enjoy the show

“there is no rationality in the nazi hatred”
primo levi wrote
“consciences can be seduced and obscured again”
and again
and again…

the aircrafts are coming back
the iphones are ready

“another beer, guys?”

* written after reading harriet sherwood’s article “israelis gather on hillsides to watch and cheer as military drops bombs on gaza” the guardian, 20 july 2014

RAPHAEL D’ABDON

Pieter_Bruegel_the_Elder_-_The_Parable_of_the_Blind_Leading_the_Blind_-_WGA3511

IL FUNERALE
Anche il giorno del tuo funerale
fu un giorno di festa
Erano venuti dal paese
a trovarti
col vestito nuovo della domenica.
Mi sorridevano
mi accarezzavano
regalandomi caramelle
– tutti i bambini sono felici così -
e fuori era una gran giornata di sole
vento e polvere di giugno.
Prima ricordo solo granate esplose in aria
e corse, fughe nella notte
notti trapuntate di bengala
che finivano nel labirinto di un rifugio.

DAVIDE ARGNANI

Bambino di Gaza

Sento rimbalzare nel petto
la tua paura e nelle mani
la ferocia di chi ti ha strappato
al seno di tua madre.

Della sua pena accolgo il riflesso
nei suoi occhi riconosco la rabbia
dell’uomo che diventerai
perché così ti vogliono – disperato e terrorista

né tuo padre nè tua madre potranno difenderti
dove ti hanno imprigionato sei solo
a deflagrare il tuo mondo infantile
nel buio dell’umiliazione della carne

bambino di Gaza io lecco le tue ferite
le porto con me come stigmate
marchiate dall’odio reciproco
dal diritto criminale del più forte

dal sogghigno sanguinario
che ti stritola in spire di serpente
perché così ti vogliono
– all’angolo cieco – figlio dannato

in terra bruciata di Gaza.

Fabia Ghenzovich
Così la terra esplode – dice Kahfee e Faizah lo ripete
mentre Efia le fa eco e Jumapili lo scrive
e la vecchia Minkah lo ricorda, Afsaneh ne tesse una favola,
Akhtar ne vede il fiore, e Darya ne tocca il mare, Elaheh prega per tutti,
Farahnaz azzittisce il suo seme di gioia, Ghoncheh depone un bocciolo dalla veste
e

milioni di persone volano
dovunque in aria volano
senza lasciare un segno
corpi e macerie in una sola amalgama di orrore
poi a terra piombano le strade la voce e la gente
si stringe intorno a quella oscura eclissi china
intorno ai moncherini di una vita che non riconoscono

FERNANDA FERRARESSO

da maremarmo-lietocolle editore 2014
Si aspetta una parola necessaria per spiegare la guerra:
è sul necessario che si accende la parola.
Un muro è un muro
ma un muro necessario a chi vende droni da fuoco
è l’interruzione della linea dei campi
e più non son campi
quel che si formano intorno ai rifugi di fortuna
zeppi di tende e poi lamiere e poi silenzi cavi.
Si coniuga il presente di uccidere in maniera sequenziale
l’esposizione al dolore è ritmata
a chi è necessario piantare il campo di guerra
il raccolto avviene
e si vendemmia
con sudari al posto dei filari.

MET (Simonetta Sambiase)

Eutanasia del pensiero

chi se ne andrà
lascerà indietro il non vissuto
il punto di penombra
il film girato tutto in un istante
si stordirà di giochi
avrà amnesie
per sbarrare le porte alla vecchiaia
chi resta
ha voce fioca
anche se penserà d’aver gridato e se
avrà creduto di mostrare al mondo
un indice puntato sulla luna
senza nemmeno l’indice
_malaluna di sangue ed il suo vuoto_
chi ha coraggio
fotografa la guerra e le macerie
corpi di fango e polvere
(sembrano resti di Pompei)
erano vivi _forse derelitti_
ma sono diventati troppo in fretta
soggetti morti da documentare
e c’è chi vuole non saperne più
di proiezioni
di manifesti e resoconti
di promesse e utopie liberatorie
pure sapendo che
nessuno guarda se non c’è chi mostra
nessuno legge se non c’è chi scrive

CRISTINA BOVE


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