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Sono davvero bizzarre le vie che il buon senso e la logica talvolta riescono a trovare per raggiungere un risultato. Trovando sbarrata la strada dritta e lineare dell'argomentazione razionale, aspettano pazientemente di trovare un cavallo di Troia con cui entrare nel dibattito pubblico e palesarsi nella loro lapalissiana evidenza. E mai Alessandro Sallusti, il mastino del Giornale (e prima di Libero), lo zio Fester del giornalismo italiano, avrebbe immaginato di diventare il paladino della lotta contro le medievali sanzioni previste dal nostro Codice penale.
Perché – proprio per quell'astuzia della ragione di cui parlavamo – la domanda: “ma è mai possibile finire in carcere per aver scritto una cosa falsa?” che tutti si stanno ponendo in questi giorni (non sempre con la giusta chiarezza, va detto) a proposito del caso Sallusti, se ne porta appresso come naturale corollario un'altra: “e mai possibile finire in carcere per una canna, per non avere il permesso di soggiorno, per piccoli furti, per non essersi fermati all'alt dei carabinieri, per un'ingiuria e chi più ne ha più ne metta, rimanendo in cella spesso solo pochi giorni, giusto il tempo di contribuire a un sovraffollamento inumano e incivile”?
Quello che sul carcere andrebbe detto con la massima chiarezza è che si tratta (si dovrebbe trattare) di una misura estrema alla quale ricorrere esclusivamente per quei soggetti che rappresentano un pericolo per l'incolumità fisica degli altri. E per fortuna – al di là dell'insicurezza percepita – si tratta di una ristretta minoranza. Ora, per quanto possa essere inquietante trovarselo di fronte, Sallusti in giro per strada non rappresenta esattamente un pericolo imminente per chi lo incontrasse. Si vuole una sanzione esemplare perché le parole sono pietre e non si può impunemente pubblicare il falso, rovinando la vita e la reputazione di qualcuno? Bene, gli si impedisca a vita di fare il giornalista, ma che senso ha tenerlo in carcere 14 mesi e poi ritrovarselo nuovamente direttore di qualche testata?
Il fatto è che le cosiddette persone per bene provano una certa soddisfazione nel vedere dietro le sbarre i “delinquenti”, categoria omnibus, in cui metterci dentro di tutto, perché sono convinte che loro con “quel mondo lì” non c'avranno mai niente a che fare. E poi invece un giorno ricevi una telefonata che ti dice che tuo figlio è stato arrestato per detenzione di droga e tu allora capisci che c'è qualcosa che non quadra, perché: come è possibile stare in carcere se “non hai fatto del male a nessuno”? Ecco, lapalissiano buon senso.
Come recentemente sollecitato anche da un folto gruppo di penalisti, capitanati dal prof. Andrea Pugiotto, in un appello a Napolitano, amnistia e indulto sono le soluzioni urgenti per risolvere l'emergenza carceri, e la radicale revisione del Codice penale con una netta depenalizzazione dei reati quella per evitare che se ne crei in pochi anni una nuova.
Ecco, questo buon senso fa spesso fatica a farsi largo e ci tocca oggi persino ringraziare Sallusti per questa battaglia di civiltà a sua insaputa.
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