Salomone era morto da almeno 900 anni quando ad Alessandria d’Egitto fu composto il libro della Sapienza di cui si legge nell’odierna liturgia domenicale un brano (6,12-16). Eppure la tradizione non ha avuto esitazioni nell’attribuire al celebre re d’Israele anche quest’opera scritta in greco, così come a lui fu assegnata la paternità del cantico dei cantici (1,1) e di Qohelet-Ecclesiaste (1,1), testi da collocare secoli dopo il regno del figlio di Davide. Allo stesso Salomone fu ricondotto l’intero libro dei Proverbi (1,1), anche se alcune parti dell’opera hanno riferimenti ad autori diversi: in questo scritto è possibile, però, che qualche raccolta di detti e aforismi possa essere sorta proprio durante il governo salomonico.
Certo è che Salomone nella storia ebraica è rimasto per eccellenza come l’emblema del sapiente, anzi, «egli superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza d’Egitto», celebrato dalla Bibbia come autore di «3.000 proverbi e 1.005 poesie», capace di dissertare di botanica e di zoologia (1Re 5,9-13). Ma la sua figura è legata soprattutto alla politica interna, estera e religiosa. Egli era nato dall’amore di suo padre Davide per la bellissima Betsabea, sposata in modo tutt’altro che corretto (2Samuele 11-12). Il suo nome in ebraico evocava la parola shalòin, “pace, benessere, prosperità”, mentre il secondo nome era Iedidià, ossia “prediletto del Signore” (2Sarnuele 12,25).
La sua successione sul trono paterno era stata travagliata perché di mezzo c’era un altro pretendente, Adonia, figlio di Davide e di un’altra sua moglie, Agghìt. Ma una volta assunto il potere, Salomone s’era rivelato un abilissimo capo di Stato. Fu lui a dare al regno unito una struttura amministrativa e ad aprire una vivace politica internazionale, affidata a un’efficace rete di rapporti conimerciali con Africa, Asia, Arabia, e soprattutto col colosso economico vicino, la Fenicia, in particolare col re di Tiro, Hiram. Fu quest’ultimo a concedergli assistenza tecnica durante l’attuazione della maggiore delle grandi opere messe in cantiere da Salomone, quella dell’edificazione del tempio di Gerusalemme, impresa durata sette anni, e del palazzo reale che di anni ne richiese ben tredici.
Una flotta notevole, allestita con l’aiuto dei Fenici, permetteva uno scambio commerciale fruttuoso: la base più importante era nell’attuale golfo di AqabaEilat e questo rivelava anche l’estensione territoriale del regno che, tra l’altro, era stato costellato di città-deposito e di fortezze. Solo la frontiera settentrionale era stata ridimensionata col cedimento di 20 città della Galilea al potente vicino, il re Hiram, così da poter mantenere con lui buone relazioni, essendo necessaria a Israele sia la tecnologia sia il materiale da costruzione (il legname) fenicio. La grandeurdi Salomone era esaltata anche dalla cura dell’immagine: in questa linea si spiega il suo sterminato harem che la Bibbia, un po’ enfaticamente, quantifica in 700 mogli e 300 concubine, provenienti da varie nazionalità, a suggello di una serie di contatti politici, diplomatici ed economici.
A questo proposito un evento che certamente creò grande emozione fu la visita di Stato della regina di Saba, l’attuale Yemen, un’operazione anche pubblicitaria per esaltare la reggia, il governo, la prosperità del regno salomonico (i Re 10,1-10), espressione di scambi non solo commerciali ma anche culturali. Non mancarono, però, scontri bellici, come attestano le campagne contro un piccolo regno edomita nell’attuale Giordania e contro una città-Stato di Siria, Zoba. Ma non tutto era perfetto: anche all’interno covava un sordo rancore da parte di alcuni strati sociali contro l’eccessiva imposizione fiscale che colpiva le classi più deboli. Fu un funzionano statale, Geroboamo, a iniziare un movimento di ribellione, sedato da Salomone, ma destinato alla sua morte a esplodere, dando il via attorno al 930 a.C. a una divisione del regno unito ebraico in due Stati antagonisti.
testo di Mons. Gianfranco Ravasi