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Oggi voglio essere autoreferenziale. Lo so, è l’errore fatale nel quale inciampano molti blogger: parlare di se stessi pensando di rivolgersi al mondo intero, ma in questo caso io scelgo scientemente l’autoreferenzialità sin dalla premessa e soprattutto non ho la pretesa di rivolgermi al mondo intero. Anche volendo non potrei: questo blog, per il momento, è seguito da una media di un centinaio di persone al giorno. Pochi ma buoni spero, cioè quelli che saranno in grado di capire che in questo caso, attraverso un pezzo non trascurabile della mia storia personale, cercherò di affrontare un argomento che potrebbe smuovere qualcosa nel bosco dei cuori umani.
Oggi mi trovo a Zurigo, nella Svizzera che conta; quella delle banche, della Banohfstrasse (la via Montenapoleone elvetica), dove una borsa di pezza costa 2.300 franchi; quella che pur chiusa fra 4 montagne si apre ancora agli stranieri e gli offre le sue possibilità di lavoro. Insomma quella Svizzera che per noi italiani, dal dopo guerra ad oggi, è stata meta di emigrazione e mecca del benessere.
Io ho vissuto in Svizzera dall’84’ al 90’ e oggi torno qui da "fu Mattia Pascal", sentendomi insomma quasi un fantasma, un redivivo. Passeggio per queste strade e, dopo aver viaggiato in paesi diversi per tutta una vita, ridacchiando sotto i baffi che presto mi taglierò per l’ennesima volta, mi chiedo per l'ennesima volta chi sono. Fra questi paesi però, la Svizzera ha segnato un momento fondamentale della mia crescita: l’ho odiata, l’ho amata alla follia, e oggi? Non saprei che dire.
I miei amici del liceo hanno impicci di ogni genere: chi è sposato e aspetta il primo figlio , chi è diventato imprenditore, chi ha fatto una fine che è meglio non raccontare. Eppure si sbracciano tutti per sapere in quale hotel mi trovo per liberarsi e portarmi a cena. Perché? Forse perché mi sono fatto voler bene, ma forse anche perché erano e sono rimaste persone pulite nonostante la vita li abbia cambiati molto, qualcuno anche troppo. Persone pulite quei miei amici figli d’immigrati che la Svizzera non faceva entrare nei locali “per bene”. Persone pulite quei miei amici figli d’immigrati che l’Italia prendeva in giro perché i genitori ascoltavano Mino Reitano.
In quei 6 anni che vanno dall’84’ al 90’, io, da privilegiato, da figlio di un diplomatico, ho vissuto e sono andato a scuola insieme ai figli degli immigrati di prima e seconda generazione. Sull’autobus delle 7 però, quando andavamo a scuola, non esistevano figli di diplomatici e figli d’immigrati: per gli svizzeri eravamo tutti uguali. Tutti italiani. Tutti schifosi. Io una volta sono stato picchiato; avevo solo 12 anni e non capii mai perché quel vecchio ubriaco mi picchiò. Poi mi dissero che mi aveva detto "cingali". Sarà il momento di spiegare cosa significa questa parola nello "slang" della svizzera tedesca.
Io spesso andavo a Zurigo il sabato sera per vedere una città di 300.000 abitanti, ma le scuole le ho fatte a san Gallo, un centro di appena 80.000 abitanti, dove la gente è gretta, provinciale, spesso razzista, e dove gli italiani venivano chiamati “cingali”. È difficile tradurre questo termine, ma ci provo. Devo fare un po’ di storia del razzismo “folkloristico” svizzero. I primi italiani, appena arrivati in Svizzera, giocavano a morra e spesso, calando giù le dita a mo’ di numero, fra le varie possibilità strillavano: “cing’!” (cinque in napoletano). Basta mischiare “cing” con “zingari” e ottieni “cingali”. Praticamente una specie di “vucumprà” . Poi, progressivamente, gli italiani, per la verità già perfettamente integrati all’epoca, hanno cominciato a mettere al mondo figli che oggi si sentono svizzeri a tutti gli effetti e non si sognano neanche lontanamente di sapere cosa sia diventato il nostro paese affondato sotto i letami della corruzione.
Ad onor del vero va detto che la Svizzera per molti versi è anche un paese che ha molto da insegnarci: qui il lavoro lo trovi, qui le tasse le pagano tutti. Le tasse però le hanno pagate anche buona parte dei nostri connazionali e questo anche quando erano trattati come qualcuno oggi in Italia tratta i rumeni o gli arabi, cioè come spazzatura.
A Zurigo vicino alla posta centrale c’è una piccola libreria italiana. Una signora gentile mi accoglie e scambiamo subito quattro chiacchiere. Sono gentile anch’io e acquisto Il principe di Machiavelli nonostante a casa ne possegga già una copia. La signora mi racconta una storia che credevo appartenere solo alle varie “leggende metropolitane”, cioè di quando in Svizzera molti locali esponevano la scritta “vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Poi mi dice: “ vede lì… proprio lì… oggi c’è un ristorante, ma io ricordo quando era una birreria… uccisero un italiano”.
Oggi penso ad un mio caro amico che non nomino e che qualche anno fa voleva a tutti i costi farmi entrare in un locale di Zurigo nel quale certamente non ci avrebbero ucciso, ma nel quale proprio non ci volevano far entrare. Motivo ufficiale? Non eravamo soci. Motivo reale? Eravamo italiani. Chiesi a quel mio amico: “perché è la terza volta che mi porti qui se sai che non ci fanno entrare?”, e lui mi rispose: “ io qui ci sono nato”.
in Svizzera, d'altronde, non si può essere cittadini elvetici se non per "ius sanguinis", cioè per discendenza paterna o materna, dunque non sarebbe stato solo il buttafuori di quel locale per svizzeri purosangue a fermare le velleità d'integrazione del mio caro amico, ma una nazione intera, e lasciamo perdere quali sono i requisiti richiesti in Svizzera per la naturalizzazione perché fanno venire i brividi; fra i vari, dimostrare di conoscere lo "schwizerdutsch", cioè un orrido dialetto che si parla solo ed esclusivamente in un cantone anziché in un altro (come se chiedessi ad un marocchino di dimostrarmi che conosce il beneventano). In Italia, simile al buttafuori di quel locale nazista di Zurigo, c'è ultimamente chi si è espresso contro la possibilità di dare la cittadinanza italiana ai figli di stranieri nati nel nostro paese: Beppe Grillo.http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/25/grillo-contro-cittadinanza-figli-dimmigrati-bufera-rete-cambia-nome-lega-stelle/186370/ Questo triste figuro che da anni continua a propinarci ore e ore della solita minestra di cazzate che un vecchietto sull’autobus cucinerebbe in 10 minuti, aggiunge così un'altra perla al suo repertorio.
Ecco il primo ricordo che mi viene in mente, divertente e amaro al tempo stesso. E' uno spezzone tratto dal film "pane e cioccolata" con Nino Manfredi. Ecco cosa può arrivare a fare, proprio come quel mio amico, un italiano in Svizzera pur di essere accettato, ed ecco come potrebbe andare a finire se si trovasse di fronte a tanti Beppe Grillo, Santanchè, Borghezio e compagnia bella.
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