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Sangue del Nord

Creato il 06 aprile 2014 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

La Ronde. I suoi muri, gli scossoni dei tratti in pavè, l’equilibrio che bisogna avere per restare su quella striscia semi invisibile tra l’erba e i sassi, per evitare le schiene della strada che fanno male, alle gambe e alla testa. Per chi in quelle città dai mattoni sfolgoranti e i cieli grigi ci è nato, quelle sono le strade di casa. Greg Van Avermaet e Sep Vanmarcke hanno lo stesso sangue del Nord. La stessa vocazione per le pietre inclementi, le stesse ossa che sanno resistere alle frustate delle azioni su quell’acciottolato.

Per Greg, questa corsa, è il sogno della vita. Il suo compagno di squadra, Taylor Phinney si è infilato nella prima fuga. Lui rimane tra i migliori, anche quando l’Omega Pharma Quick Step comincia a tirare per rendere dura la gara. Sagan, Cancellara, Terpstra, Boonen. Sono tutti lì e Greg è con loro. Ma la pancia calda del gruppo, seppur ristretto, non è il suo obiettivo.  Quando mancano trentotto chilometri alla linea del traguardo, Greg scatta. Nessuno tenta di ricucire lo strappo, ad eccezione di Stijn Vandenbergh, un altro belga che gli sta a ruota. Per Greg sarà più un peso che un aiuto: il vento in faccia sarà tutto suo, senza la breve consolazione di un cambio, di un riposo dietro la schiena del connazionale. Venti secondi e il gruppo che  si sfila, si ricompatta, si smembra ancora, come soldatini sfibrati prima dalle cadute e poi dai continui cambi di ritmo, dalle pendenze improvvise e rese aspre da quelle pietre che sembrano ossa di pietra, affioranti dal corpo della terra. Venticinque secondi e ancora Greg sfianca la sua bicicletta controvento. Niente cambi: fa fatica, di sicuro, ma sembra non sentirla. Pedala leggero, su quelle strade che leggere non sono.

Tour of Flanders

Vandenbergh è un ombra silenziosa dietro di lui: aspetta Niki Terpstra, spera che possa rientrare su di loro e aiutarlo a giocarsi il finale, anche perché di chilometri ne mancano ancora, può succedere di tutto. Dietro di loro, poi, c’è il fantasma di Fabian Cancellara. Lo svizzero attacca per la prima volta sul Taaiemberg: dietro di lui si crea un vuoto che fa paura. Ma non se ne va da solo: alla sua ruota, incollato senza cedimenti, c’è Sep Vanmarcke. Ha un conto in sospeso con lui dallo scorso anno, quando Fabian gli ha soffiato in volata il podio della Parigi Roubaix. Vuole la rivincita a tutti costi, lui che nel 2010 è arrivato secondo alla Gand Wevelgem e nel 2012 ha fatto sua la Omloop Het Nieuwsblad. Non gli lascia nemmeno un respiro: dietro, il gruppo è oramai lontano ma la ruota di Sep è a pochi centimetri da quella di Cancellara. Non la perderebbe per nulla al mondo, quella ruota: significherebbe lasciare andare via un’altra occasione. E alle occasioni che vengono solo una volta all’anno ci si aggrappa con i denti, se necessario.
sep_ronde

Davanti, Greg e Stijn sanno di essere in balia dei secondi che vanno e vengono. Arrivano ad essere cinquantasei, quei secondi. Vicini, così vicini al minuto che la speranza comincia ad affiorare, tremante come le biciclette scosse dallo sforzo. Ancora un po’, ancora fino all’Oude Kwaremont e, con un discreto vantaggio, potrebbero farcela. Greg tenta di togliersi da ruota il compagno: non gli serve, non gli è mai servito. Tanto vale tentare da solo. Quel vento lo conosce bene, quell’aria di casa l’ha sentita tante volte, le strisce di nuvole grigie e blu all’orizzonte sono familiari. Ma Vandembergh non cede, oramai né Stybar, né Terpstra possono rientrare, ha il via libera, la sua opportunità di giocarsela. E’ il sangue che chiama da quel traguardo, un richiamo viscerale che è dentro da sempre, la tempra del Nord che urla di non smettere di pedalare, di stare sotto, di non perdere niente, a costo di svuotare le gambe.

I secondi sfioriscono come petali sotto la gamba dei due inseguitori, lo svizzero e il belga. Ancora venti e poi dieci, nove, sette. Greg rilancia. Mancano quattro chilometri e darebbe tutto per avere altro tempo dietro di sé. L’ultimo muro, il Paterberg, lo scala da solo, fugge via nella speranza che la fortuna lo aiuti in qualche modo, che il Destino senta le sue gambe che non sono ancora stanche, che possono arrivare al traguardo. Ma tutto è scritto. Viene ripreso anche lui e in testa rimangono in quattro: uno svizzero e tre belgi. Mancano tre chilometri, niente è deciso. Il gruppo non arriva, loro si studiano metro per metro, si guardano, dietro gli occhiali nascondono la stanchezza e l’orgoglio. Greg e Sep sono riusciti a farsi voler bene per quella tenacia sempre uguale, il ritmo assoluto sulle strade aspre e senza pietà, per il coraggio di rimanere sempre davanti senza perdere un colpo, senza farsi sfuggire niente dalle mani. Ma il rettilineo d’arrivo è lungo, tutto diritto, senza scuse. E l’ombra di Fabian Cancellara li sovrasta tutti: la volata è una lunga, dolorosa rincorsa. Secondo Van Avermaet, terzo Vanmarcke. Fregati di nuovo, a un passo dalla fine. Niente sogno, niente rivincita. E tutti sappiamo che arrivare a un passo dalla felicità è peggio che sapere di non poterci mai giungere. Ogni volta è questione di attimi, di centimetri: tutta la fatica, lo sforzo, il mal di gambe si concentra lì, appena prima di una linea.

Ma il ciclismo è sempre un richiamo del sangue e la passionalità sul pavè è non cedere mai. Non cedere e lasciare che la corsa sia sul filo, fino all’ultimo secondo. Non cedere. La Ronde è stringere i denti metro per metro, anche quando non sei sicuro che quella tenacia ti porterà sul podio. Il ciclismo è l’essenza stessa del coraggio inconsapevole. Senza osare, non si raggiunge.
Qualcuno (e forse anche io) Greg e Sep li aspetta domenica prossima, a Roubaix. Ma le gare sono come viaggi a sé, le strade cambiano gli uomini che le percorrono. Ma il richiamo, quello no. Rimarrà sempre quello un po’ aspro e familiare del Nord.

Tour of Flanders

 



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