Sanremo – si sa – è una manifestazione musicale che scontenta tutti. Sta nella logica naturale delle cose all’italiana; così come durante i mondiali siamo tutti allenatori, per Sanremo ci trasformiamo per una settimana tutti in autori televisivi ed esperti musicali.
Non c’è da farne un dramma, siamo fatti così.
Quest’anno, però, a Sanremo sono successe delle cose strane, cose che non succedono spesso e che mi hanno fatto sbocciare un sorriso sulle labbra e sorgere nel cuore un moto d’orgoglio (forse qualcosa sta cambiando?).
La prima è stata la performance di Roberto Benigni. Una meravigliosa mistura di ironia e cultura che ha tenuto banco quasi un ora e ha dato una lezione di vita a molti dei presenti in platea, a cominciare dal Ministro La Russa. Un’esibizione che ha avuto il chiaro intento di smontare dei luoghi comuni, nel tentativo di ridare dignità e spessore alla nostra unità nazionale – attraverso il racconto di alcuni fatti del Risorgimento – e di avvicinare gli spettatori all’inno di Mameli (e Novaro) – grazie a un’accurata esegesi del testo. Benigni non ha certo bisogno di essere incensato da me, io vi invito, qualora non lo aveste ancora fatto, a guardare l’interno intervento, che è presente sia sul sito della Rai che su Youtube (frammentato in 4 parti: 1; 2; 3 e 4). Resta l’amarezza per il fatto che sia stato un comico (per quanto di altissimo spessore culturale come Benigni) a dovere fare qualcosa che, nelle nostre scuole – e non solo –, dovrebbe essere la normalità.
Il secondo momento che ha reso questo Sanremo diverso dagli altri è stato la vittoria di Roberto Vecchioni, con il brano Chiamami ancora amore. Un’intensa poesia musicata, interpretata con singolare maestria da un cantautore che rappresenta un vero monumento della musica italiana. Un brano dolce e intenso, ricco e originale, che non calca lo stereotipo della canzonetta sanremese ma che miscela con sapienza musica d’autore e tradizione popolare, che parla direttamente ai cuori degli ascoltatori, con l’intento di svegliarne le coscienze sopite. Insomma, una canzone che stava almeno dieci spanne al di sopra delle altre.
www.youtube.com/watch?v=OSVV6jhocH8
A volerci pensare v’è un filo conduttore che lega l’intervento di Benigni al brano di Vecchioni. Un filo verde-bianco-rosso che parla con la forza della determinazione, quella forza di cui abbiamo tutti bisogno per ridestarci dall’oblio in cui siamo immersi, da quell’indifferenza che obnubila i nostri pensieri e che ha fatto sì che il nostro Paese scivolasse tanto in basso.
Siamo schiavi della logica della divisione, una logica che fa gioco a chi detiene il potere. «Stringiamci a coorte» mi verrebbe da dire, perché uniti potremo vincere qualunque sfida che il futuro ci presenterà, così come è già stato in passato.
Infondo, «questa maledetta notte dovrà pur finire».