Prima le senti, e ti colpiscono. Poi impari a piazzarle nel giusto contesto, e certe volte è divertente assistere alle facezie involontarie di chi non vi ha messo la giusta cura. Poi magari dopo anni e anni ti rendi conto che una parola universalmente non esiste.
Soprattutto uno col padre gran giocoliere di parole, da cui immodestamente avrò ripreso, ne convengo; oppure uno che, due minuti dopo aver imparato a leggere, si è intrippato del Braccio di Ferro di Segar degli anni '30.
Si dà il caso (bello, anche “si dà il caso”) che io unisca nella mia persona sconfinata entrambi i tizi.
Tempo fa, una mia amica/conoscente flautista per iscritto mi apostrofò con un “oh, scalmanato Vili”. Io nella circostanza ebbi fremiti di piacere, e solo adesso razionalizzo. Esiste “scalmanare”? non mi scocciare colla tua pedanteria, da qualche parte so purìo che probabilmente attiene a storie di barche, o cavalli, non so.
E che mi dici di sparadrappo, pellaschera, brebba, scapicollarsi, Pappagone, fraffo?
E scalcagnifica, regge l'accusativo, è transitivo, intransitivo?
e soprattutto, qualsiasi cosa regga, per quanto ancora continuerà a reggerla?
Intendiamoci. Io ho adesso gli strumenti per ricostruire una corretta etimologia, ma a che pro? Non è più bello rimanere coll'interrogativo?
Tempo fa, a una che si sta diplomando in jazz al conservatorio, che però condivideva i miei stessi blocchi musico-improvvisativi, esponevo la mia teoria solita. A scuola impari la grammatica, l'analisi logica, la sintassi, i congiuntivi; ma poi quando parli mica a ogni verbo detto ti metti a pensare “e mò questo che areggerà?”. Tu parli e via, perché hai talmente studiato, letto, scritto, talmente parlato – questo è il punto – che hai generato un automatismo, e il parlare quando si presenta l'occasione non è nulla di eccezionale, nel quotidiano.
Lei giustamente mi ha risposto che uno a parlare ci prova da subito, a una certa si mette pure a studiarne le regole, ma impara prima a esprimersi e poi a farlo in modo composito. Mica puoi prendere un neonato e mentre provi a fargli ripetere “mammà&papà” gli incerotti un flauto dolce tra le labbra.
Ecco in definitiva perché “gangarone” è e sarà sempre meglio di qualsivoglia semibiscroma o di re diesis semidiminuito.
È bellissimo, bellissimissimo, come impari le parole. Non è che arriva uno e te le spiega. E se pure viene, in genere ti rovina tutta la poesia. A meno che non sia uno che di stare al mondo ne capisce come ne capisce Un Riccioletto.
Come impari le parole è una delle cose belle della vita.
Una cosa brutta della vita è invece tutto il resto, fatte salve le sigarette e qualche altro centinaio scarso.