Molti più capelli di quanti ne abbia Silvio Berlusconi, per giunta erano tutti suoi, ma le affermazioni di Toni Negri non erano poi tanto diverse da quelle che in tante occasioni abbiamo sentito sulla bocca di Silvio Berlusconi. In quanto agli argomenti non c’è paragone. Condannato sulla base di dichiarazioni di pentiti che la difesa non aveva avuto modo di controinterrogare (vergogna alla quale si sarebbe messo riparo solo molti anni dopo), aveva sul groppone più di quattro anni di carcerazione preventiva (vergogna che a tutt’oggi non trova riparo), quando fu candidato nelle liste radicali, ed eletto alla Camera dei Deputati, anche se in quella occasione i radicali consigliavano l’astensione. Presentare liste alle elezioni e chiedere agli elettori di non votarle è una patente contraddizione che andrebbe esaminata a parte, ma qui va ricordata perché a buon diritto Toni Negri interpretò la sua elezione come un voto dato a lui, proprio e solo a lui, e qui torna qualche analogia con Silvio Berlusconi, che al voto dei suoi elettori dà il valore di un salvacondotto per scansare la condanna, ma rimanendo in Italia. Toni Negri fuggì. Fuggì mentre il Parlamento votava in favore del suo arresto, e determinante fu l’astensione dei radicali, che nelle settimane successive non mancarono di criticare aspramente la sua scelta di riparare in Francia. Anche qui le differenze col caso che in questi giorni vede oggetto Silvio Berlusconi saltano agli occhi: Marco Pannella fa sua la tesi di Giuliano Ferrara sulla legittimità di difendersi dal processo, anzi dalla condanna in cui è esitato il processo, e parliamo di condanna definitiva, riprendendo quanto Piero Calamandrei ebbe a dire commentando la fuga di Gaetano Salvemini nel 1925 («Se mi accusassero di avere rubato la Torre di Pisa, io, intanto, mi darei alla latitanza»): non valeva per Toni Negri. Toni Negri avrebbe dovuto accettare la decisione della Camera dei Deputati, andare in carcere e rimanerci, combattendo per una «giustizia giusta» dal chiuso di una cella: a Silvio Berlusconi basta firmare i referendum radicali e Marco Pannella gli fa lo sconto che non fece a Toni Negri. Sarà che Toni Negri aveva molti più capelli.
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Molti più capelli di quanti ne abbia Silvio Berlusconi, per giunta erano tutti suoi, ma le affermazioni di Toni Negri non erano poi tanto diverse da quelle che in tante occasioni abbiamo sentito sulla bocca di Silvio Berlusconi. In quanto agli argomenti non c’è paragone. Condannato sulla base di dichiarazioni di pentiti che la difesa non aveva avuto modo di controinterrogare (vergogna alla quale si sarebbe messo riparo solo molti anni dopo), aveva sul groppone più di quattro anni di carcerazione preventiva (vergogna che a tutt’oggi non trova riparo), quando fu candidato nelle liste radicali, ed eletto alla Camera dei Deputati, anche se in quella occasione i radicali consigliavano l’astensione. Presentare liste alle elezioni e chiedere agli elettori di non votarle è una patente contraddizione che andrebbe esaminata a parte, ma qui va ricordata perché a buon diritto Toni Negri interpretò la sua elezione come un voto dato a lui, proprio e solo a lui, e qui torna qualche analogia con Silvio Berlusconi, che al voto dei suoi elettori dà il valore di un salvacondotto per scansare la condanna, ma rimanendo in Italia. Toni Negri fuggì. Fuggì mentre il Parlamento votava in favore del suo arresto, e determinante fu l’astensione dei radicali, che nelle settimane successive non mancarono di criticare aspramente la sua scelta di riparare in Francia. Anche qui le differenze col caso che in questi giorni vede oggetto Silvio Berlusconi saltano agli occhi: Marco Pannella fa sua la tesi di Giuliano Ferrara sulla legittimità di difendersi dal processo, anzi dalla condanna in cui è esitato il processo, e parliamo di condanna definitiva, riprendendo quanto Piero Calamandrei ebbe a dire commentando la fuga di Gaetano Salvemini nel 1925 («Se mi accusassero di avere rubato la Torre di Pisa, io, intanto, mi darei alla latitanza»): non valeva per Toni Negri. Toni Negri avrebbe dovuto accettare la decisione della Camera dei Deputati, andare in carcere e rimanerci, combattendo per una «giustizia giusta» dal chiuso di una cella: a Silvio Berlusconi basta firmare i referendum radicali e Marco Pannella gli fa lo sconto che non fece a Toni Negri. Sarà che Toni Negri aveva molti più capelli.
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