Passando per via Meravigli, quante serrande abbassate. Ed allora mi viene da pensare a quanti negozi anche storici che conoscevo hanno chiuso a Milano o cambiato genere o gestione.
Innanzitutto lo storico Collini di corso Buenos Aires, – del quale avevo già scritto tempo addietro – ferramenta ed altro, dove trovavi di tutto, dalla lametta al katana, dalla torcia al coltellino svizzero, quello originale, negozio riconoscibile per i suoi infissi in metallo verniciato di rosso.
Poi l’Alemagna in Via Manzoni, ora soppiantato da un Armani, proprio a fianco del Grand Hotel et de Milan, separata da esso solo dal “monumento”(?) a Pertini, ossia quell’orrenda scalinata. C’erano anche vari “All’Onestà”, citati anche da Gaber in “Barbera e champagne” (io sono direttore all’Onestà). E il negozio che mi piaceva più di tutti, all’angolo di piazza Duomo, Galtrucco, con le sue magnifiche stoffe: lane pettinate inglesi, cashmir finissima, broccati e sete intarsiate da perle e strass. Al suo posto adesso…Benetton.
Come sono scomparsi pure gli “Italy e Italy”, quei fast food all’italiana dove si mangiavano rigorosamente solo piatti di pasta, al pomodoro, al pesto ed all’amatriciana: ne ricordo uno, nei pressi di san Babila, rilevato dall’ormai onnipresente Dolce e Gabbana, e quello di Corso Buenos Aires.
Sotto casa nostra infine anche il Sergio della Vodafone ha chiuso. Si trasferisce e cambia attività, si dedicherà alla vendita di apparecchi elettronici e sigarette sempre elettroniche, dal nome evocativo e romantico “la scighera” (nebbia, per i non milanesi).
Un poco alla volta chiudono tutti, a volte rilevati da grandi catene oppure da extracomunitari, la maggior parte cinesi, che vendono bigiotterie, vestiario o pellame a poco prezzo e di dubbia qualità oppure servizi di money change, massaggi e parrucchieri. Così la città sta suddividendosi in due sezioni: da una parte le grandi firme, che spesso acquistano interi edifici, ristrutturandoli e trasformandoli in negozi di prestigio; dall’altra appunto bottegucce.