Saturnalia 3.0
Il mio primo gruppo, rock, si chiamava Saturnalia. La mia band nacque così, pochi amici e tanto grigio di città da digerire, nelle serate senza novità di una periferia di cemento armato, asfalto e canzoni neomelodiche sparate in stereo dalle case ingombre di salotti in similpelle. Il mio primo basso elettrico lo comprai da un metallaro. Era nero, ricoperto fin sulla tastiera di vernice e scritte bianche di uniposca: ci vollero un intero pomeriggio e un intero barattolo di solvente tossico per ripulirlo e farlo tornare splendente nel suo color legno chiaro, con un immacolato e inaspettato battipenna bianco. Il mio primo concerto fu come morire, annegare o uccidere: non saremmo più tornati indietro. Ricordo solo una gran luce attorno a me ed io sospeso nel vuoto, aggrappato al basso mentre abbandonavo tutto ciò che ero stato prima e non sarei stato mai più. La mia prima sala prove fu la prima vera casa. Mai, nei miei diciassette anni di vita, avevo provato quel piacere sereno, quel vestito fresco e nuovo che indossiamo e chiamiamo casa mia. Il mio maestro di basso era ed è un grande, l’amico che per primo mi ha dato fiducia e che non smetterò mai di ringraziare. La prima volta che feci l’amore fu solo dopo il primo concerto: mi ha sedotto per prima la musica. Le prime volte che provammo insieme fu come volare: non avrei mai immaginato il piacere sublime di muoversi all’unisono nella musica, di spartire il tempo in misura perfettamente equa fra tutti. La prima volta che suonammo fu come calarsi con lenzuola annodate da una cella ed evadere: ci eravamo conquistati la nostra libertà. E liberi rimaniamo, oggi, qui, con la musica in testa, ancora fuggitivi e recalcitranti all’autorità costituita, ognuno per la sua strada ma sempre legati da un patto, lontano, mai scritto e valido sempre: qualunque cosa succeda, non ci prenderanno mai.