da qui
Di tutti si può dire bene. L’amante di Hitler ne parlava benissimo, credo, come del resto gran parte del popolo tedesco, in certi anni. Qual è il confine tra oggettivo e soggettivo? Dove comincia la distorsione esplicita, patente, indifendibile? A Napoli c’è un detto: ogni scarrafone è bello a mamma soia. Madre scarafaggio o madre coraggio, non si sa. Ricordo una scena de La giornata di uno scrutatore, di Italo Calvino. Un padre contempla, al Cottolengo, il figlio incapace di intendere e volere mentre mangia le mandorle portategli da casa. Lascia i suoi campi e viene fino a qui, sapendo che la scena sarà sempre la stessa: il figlio mastica e lui guarda, senza perdere un dettaglio. Cosa c’è di attraente in un quadro così scarno, quasi inumano, per l’assenza di una luce qualsiasi di spirito o ragione? Certo, un figlio è sempre un figlio, ogni scarrafone è bello a mamma soia. In realtà, nello spettacolo grottesco c’è qualcosa di più, descritto con parole che da allora in poi non ho potuto più dimenticare: Ecco, pensò Amerigo, quei due, così come sono, sono reciprocamente necessari. E pensò: ecco, questo modo d’essere è l’amore. E poi: l’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.