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Scienza leggera: anche le cellule nel loro piccolo fanno cose strane

Creato il 09 febbraio 2014 da Lundici @lundici_it
La caspasi-7 in tutto il suo splendore (1F1J.pdb)

Diceva lo scultore e pittore Jean Arp: “In natura un ramo spezzato è tanto bello ed importante quanto le stelle”. In effetti, se è vero che la Natura si muove per perpetuare la vita, è anche vero che le vie con cui persegue quest’obiettivo sembrano a volte davvero paradossali. Le cellule sono le entità più piccole che associamo al concetto di vita e, come qualsiasi cosa viva, le cellule muoiono. Fino ad una cinquantina di anni fa, però, si credeva che la morte avvenisse solo per necrosi, ossia in conseguenza di uno stress acuto o un evento traumatico, come se una persona potesse morire solo in un incidente automobilistico. Oggi invece si sa che le cellule possono morire anche perché…decidono di morire. Esiste cioè un altro tipo di morte cellulare chiamata apoptosi (un termine che deriva dal greco e significa la caduta delle foglie dagli alberi), che avviene a seguito di un processo attivato e portato a termine dalla cellula stessa: in altre parole un vero e proprio suicidio cellulare…

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Perché diavolo le cellule dovrebbero suicidarsi? Sembra un’assurdità, ma, in effetti, non lo è. Se si tratta, infatti, di un suicidio, possiamo definirlo più propriamente un suicidio altruistico, perché conduce ad un beneficio per l’intero organismo. Quando, per esempio, una cellula, per qualche ragione, s’infetta, si attiva l’apoptosi per evitare che le cellule vicine siano contagiate. Lo stesso accade quando la cellula si danneggia e comincia a dividersi fuori controllo trasformandosi in cancerosa. Inoltre il numero di cellule dell’organismo deve rimanere costante e se nascono nuove cellule (per esempio del sangue) è necessario che altre muoiano. In un anno, una quantità di cellule pari all’intero corpo umano viene rinnovata. Possiamo dire che ciò che siamo oggi…è completamente diverso da ciò che eravamo un anno fa! Infine l’apoptosi è utile nella fase embrionale umana per differenziare le dita di mani e piedi che inizialmente sono “palmati”.

Riassumendo: l’apoptosi è una morte cellulare programmata che serve a mantenere sano ed in equilibrio l’organismo. Il fatto è che, così come accade a noi nelle nostre vite quotidiane, anche a livello cellulare ci si può allontanare dall’equilibrio…Ossia l’apoptosi può diventare eccessiva o carente. E allora…ci si ammala. Cosa accade se c’è un eccesso di apoptosi ossia se muoiono troppe cellule? Possono insorgere malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, di Huntington o di Parkinson. E cosa accade invece se non c’è abbastanza apoptosi (ossia muoiono troppe poche cellule)? Possono esserci troppe cellule, ossia formarsi masse abnormi di cellule ovvero tumori. Per questo, capire come le cellule decidono di suicidarsi è molto importante: per poter intervenire su queste malattie.

Come gran parte di ciò che avviene nel nostro organismo, l’apoptosi è una serie di reazioni chimiche (trasformazioni di una sostanza in un’altra), “guidate” e rese possibili dagli enzimi. Gli enzimi sono molecole (aggregati di atomi) molto grandi e complesse che svolgono il ruolo di catalizzatori, ossia velocizzano enormemente la velocità di specifiche reazioni chimiche che, altrimenti, nel nostro organismo, avverrebbero troppo lentamente per mantenerci vivi. Come spiegato in un precedente articolo, le reazioni chimiche, anche se hanno tendenza ad avvenire hanno bisogno di una “spinta” iniziale, ossia di un po’ di energia per innescarsi. Più è grande quest’energia, più difficilmente la reazione comincia e più essa è lenta, al punto che, in alcune circostanze, non può praticamente avvenire. I catalizzatori abbassano questa quantità d’energia iniziale (detta energia di attivazione). Se facciamo l’esempio per cui una reazione chimica è una trasformazione che ci porta dal nostro divano di casa a una spiaggia caraibica, perché ciò accada c’è bisogno di una “spinta” sotto forma di volontà, fatica e soprattutto soldi. Altrimenti, anche se “tendiamo” ad andare ai Caraibi, non ce la facciamo. L’enzima, in questo contesto, è qualcuno che ci regala il biglietto aereo: adesso è tutto più facile e…via sulla spiaggia!

enzimi

Il corretto funzionamento di un enzima che catalizza, in questo caso, la reazione chimica tra due sostanze.

In generale, possiamo immaginarsi gli enzimi come gomitoli apparentemente caotici formati da migliaia di atomi. In questo groviglio esiste una tasca, un buco (chiamato “sito attivo”) in grado di accogliere la sostanza (o le sostanze) che deve reagire, detta reagente o anche substrato. Una volta che il reagente è stato “accolto” dall’enzima, avviene la reazione chimica e si ottiene un prodotto che lascia l’enzima, che è di nuovo pronto ad accogliere un’altra molecola. Una caratteristica generale dei catalizzatori è, infatti, quella di non consumarsi durante la reazione che catalizzano ed essere sempre pronti a catalizzarne un’altra (del medesimo tipo) quando la precedente è finita.

La specificità tra enzima e substrato è altissima: solo quella particolare sostanza, fatta in quel particolare modo, con quella particolare forma può “incastrarsi” nel sito attivo. Altre sostanze, anche simili non entrano nel sito attivo: è come se volessimo avvitare una lampadina dal passo troppo grande o piccolo rispetto al portalampada oppure infilare una spina americana nel buco per una spina europea. L’enzima sa riconoscere benissimo il suo substrato, “rifiutandosi” di far entrare qualsiasi altra sostanza. Del resto anche noi, costantemente, utilizziamo meccanismi di riconoscimento: riconosciamo le persone guardandole o dalla loro voce o anche grazie al loro odore. Riconosciamo un poliziotto perché veste un’uniforme o l’impiegato del gas dalla tessera che ci mostra, ecc. ecc..

Gli enzimi principalmente coinvolti nell’apoptosi si chiamano caspasi ed il loro compito è quello di fare letteralmente a pezzi alcune proteine o altre molecole essenziali alla sopravvivenza della cellula. In pratica le caspasi realizzano le reazioni che portano alla rottura di legami chimici di proteine che, ad esempio, costituiscono l’”impalcatura” della cellula. Quando la cellula “decide” di morire, alcuni segnali chimici vengono mandati alle caspasi che eseguono il loro compito di killer.

La caspasi-7 in tutto il suo splendore (1F1J.pdb)

La caspasi-7 in tutto il suo splendore (1F1J.pdb)

Supponiamo ora di trovarci in una condizione di disequilibrio ossia di malattia, come descritto sopra, e vogliamo riportare la quantità di apoptosi a condizioni normali. Cosa dobbiamo fare se nell’organismo c’è un eccesso di apoptosi? Dobbiamo impedire che avvenga, ossia dobbiamo bloccare le caspasi. E come facciamo a bloccare le caspasi? Ingannandole…

Come visto, gli enzimi (e quindi anche le caspasi) riconoscono la sostanza sui cui agiscono, la accolgono in una cavità e poi la rilasciano dopo che essa ha reagito. Ora, immaginiamo di mettere di fronte ad una caspasi una sostanza molto, molto simile alla proteina con cui esse normalmente hanno a che fare, così simile che la caspasi la accoglie come fosse quella giusta. Del resto accade anche nella vita “normale”: una persona può indossare un’uniforme, farsi passare da poliziotto e rapinare una banca; oppure imitare benissimo la voce di qualcuno ed ingannare un interlocutore al telefono.

Immaginiamo anche che questa sostanza “travestita” sia così “subdola” che una volta accolta dalle caspasi, non reagisca, ma rimanga lì, incastrata nella cavità che dovrebbe essere invece lasciata libera per l’arrivo della proteina che le caspasi ha il compito di spezzare. Cosa succede? Succede che le caspasi sono state ingannate e rese inattive, perché la cavità dove dovrebbero accogliere la proteina è occupata dalla sostanza “travestita”, che non se ne va!

Ricapitoliamo: esisteva un eccesso di apoptosi ossia morivano troppe cellule (malattie neurodegenerative). Noi siamo intervenuti, bloccando le caspasi, ossia abbiamo ridotto l’apoptosi, con il risultato che ora muoiono meno cellule. Qual è il risultato finale? Abbiamo “curato” l’organismo, contrastando la malattia neurodegenerativa (ovviamente le cose sono un po’ più complesse). E cos’è dunque la sostanza “travestita” che ha ingannato e inibito le caspasi? Nient’altro che un farmaco…

Buona parte dei farmaci esistenti sono, infatti, inibitori enzimatici, ossia sostanze che agiscono come descritto sopra, inibendo l’attività di enzimi la cui azione, in quella particolare situazione, dà origine ad uno “squilibrio” nell’organismo, ossia ad una malattia. Quindi, la ricerca scientifica, in questo caso, è volta a comprendere quali siano le interazioni che permettono il riconoscimento caspasi-proteine e come agiscono le caspasi, in modo da poter costruire inibitori in grado di “ingannarle” e bloccarle, ossia sintetizzare farmaci contro le malattie neurodegenerative. Allo stesso modo, per combattere l’eccesso di apoptosi coinvolto nello sviluppo dei tumori, si deve trovare invece il modo di attivare le caspasi in modo che abbia luogo più apoptosi.


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