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Inutile fare la cronistoria del lunghissimo conflitto tra il cavaliere Silvio Berlusconi e parte della magistratura italiana, che per informarsi basta dare una scorta ai giornali pubblicati negli ultimi 15 anni.
Certo è che negli ultimi mesi l'offensiva giudiziaria si è spostata decisamente sul fronte della vita privata dell'attuale primo ministro, abbandonando quello dei reati di stampo mafioso, molto gettonati negli anni passati, nonostante anche nelle ultime settimane non siano mancate le solite clamorose rivelazioni di alcuni cd pentiti, che non hanno però avuto il solito seguito giornalistico, perfino il Fatto Travagliato gli ha dedicato poco spazio. Probabilmente l'arma è giudicata ormai inefficace, di fronte a quella più incisiva del reato sessuale, accompagnato dalla condanna morale, almeno apparentemente.
Almeno apparentemente, perchè in realtà le indagini demoscopiche dimostrano che a fronte di un leggero e comunque momentaneo declino della popolarità del premier, il suo partito non solo non perde consenso, ma ne acquista, a dimostrazione che anche l'eliminazione dalla scena politica di Berlusconi potrebbe non sancire un sicuro cambio di maggioranza politica.
La magistratura milanese comunque va avanti come un caterpillar, sorvolando su ogni possibile impiccio burocratico e sulle possibilità di conflitti di competenza o di ragionevolezza delle accuse, puntando alla rapida celebrazione del processo, che nessuno sano di mente pensa possa concludersi con l'assoluzione dell'imputato.
Si arriverebbe dunque alla conclusione del ventennale conflitto tra l'ordine della magistratura e Silvio Berlusconi, che potrebbe però tramutarsi in una vera e propria vittoria di Pirro, se il Pdl, nonostante l'impossibilità di poter candidare alla carica di premier Silvio di Arcore, dovesse riconfermarsi alla guida del Paese.
Il peggio è che entrerebbe in crisi tutta l'industria dell'antiberlusconismo militante, che potrebbe altresì provocare una preoccupante crisi economica, se solo si pensa che il solo Marco Travaglio è riuscito negli anni passati a vendere centinaia di migliaia di copie di una decina di libri dedicati al cavaliere, praticamente tutti uguali.
Ancora oggi si annuncia l'uscita di un ennesimo film biografico sulla figura del cavaliere, a firma dei giornalisti del Corriere della Sera Stella e Rizzo, che chissà quali novità ci potrà ancora rivelare sulla perdita del primo dentino da parte di quello che sarebbe diventato il fondatore di Mediaset.
La vera morale della storia è in realtà la conferma che lo scontro tra un cittadino, foss' anche un multimilionario, e la magistratura è uno scontro impari, perché nessuno può tener testa ad un potere che ha a disposizione tempo e risorse illimitate, e sicuri di non rischiare nessuna conseguenza, non dovendo rendere conto a nessuno del proprio operato.
La cronaca ci da oggi una piccola dimostrazione di quanto affermato sopra: la condanna, emanata da un giudice, dei due giornalisti a risarcire il giudice che inquisì Enzo Tortora è la palese conferma della totale autoreferenzialità di un sistema giudiziario che non tollera critiche, non accetta responsabilità e pretende non solo di applicare le leggi, ma di giudicarne la validità se non addirittura di formularle, secondo gli ultimi atti della cassazione.
A questo punto, come non essere d'accordo con Massimo D'Alema, che confidò all'ambasciatore Spogli come il reale pericolo per la democrazia italiana fosse proprio la magistratura?
Come non essere d'accordo con Luciano Violante, che pure in un recente passato fu considerato il capo del partito dei magistrati, quando afferma che i giudici hanno travalicato, e non di poco, il loro compito istituzionale?
Tutto lascia presagire che non siamo per niente arrivati all'atto finale dello scontro tra magistratura e politica, ma solo alla conclusione del primo atto, e l'epilogo è in realtà ancora lontano e tutto da scrivere.
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