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Scoppia l’affaire Lusi, ex tesoriere della Margherita

Creato il 03 febbraio 2012 da Yleniacitino @yleniacitino

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da www.ragionpolitica.it

C’è un dato di fatto che impone severe riflessioni. La gente, quella massa indistinta e confusa che va sotto il nome di «popolo italiano», odia i propri rappresentanti politici. Ciò che ha costituito le fortune economiche del duo Stella-Rizzo, felice ideatore dell’epiteto «La Casta». E che ha portato altri avventurieri letterari, come Saviano, ad abbandonare il loro terreno di origine (nel suo caso, lo spaventoso Bronx campano) per sposare le ordinarie esecrazioni contro i politici, tutti «ladri e corrotti» (salvo poi quest’ultimo passare sotto il confortevole rifugio di Passera neoministro). Non che i politici abbiano sempre dato il buon esempio, del resto. Se anche qualche volta, poi, ci si mettono d’impegno per ridurre i costi della politica, permane il rischio dei soliti trucchetti. Come nella riduzione delle indennità dei parlamentari: Fini ha voluto prendere i risparmi ottenuti dal passaggio dal retributivo al contributivo e accantonarli in un fondo, mentre l’Ufficio di Presidenza di Schifani ha scelto di bloccare gli aumenti netti e tagliare i lordi del 13%, producendo, lui sì, un risparmio di 6 milioni di euro.

Eppure ciò che la stampa ha preferito divulgare è stato solo il primo scenario, condendolo con il solito slogan delle istituzioni furbe contro i cittadini beffati. Senza parlare del fatto che nessuno, a parte Renato Brunetta, ha invitato a considerare piuttosto gli stipendi dei funzionari interni delle Camere, ben più elevati e protetti da sindacati-lobby che ne impediscono la minima decurtazione. In pochi, infine, sanno che il gradino gerarchico più basso, quello dei «commessi», ufficialmente detti «assistenti parlamentari», guadagna come primo stipendio 2.618 euro netti e all’apice della carriera arriva anche oltre i 9.000. Nel concorso che porta alla loro assunzione, del resto, è richiesto il possesso della sola (sic!) licenza media. Eppure, sembra far notizia solo l’antipolitica.

Oggi si è scritto un nuovo capitolo del discorso: il caso Lusi, appunto. Ex tesoriere della Margherita, ha soffiato dalla cassaforte pubblica (perché pubblica è la provenienza di quasi tutti i soldi dei partiti) ben 13 milioni di euro, vivendo come un divo hollywoodiano (Hoolywood non apprezzerebbe l’accostamento) e inducendo nei suoi molteplici convitati il pensiero che tanto sfarzo derivasse da una «ricchezza di famiglia». Ai tempi nessuno si era accorto di nulla, neppure Rutelli che, pare, vivesse in simbiosi con lui. Oggi, invece, con indignazione si denuncia a piè pari lo scandalo e si annuncia la sua espulsione dal gruppo Pd.

Nei quotidiani, poi, si sono tutti scoperti giuristi pubblici o contabili di Stato, avanzando teorie su come «togliere ai partiti» ciò che non spetta più a loro. Ma il problema risiede nell’istituzione «partito» o in quelle che, con molta coloritura, sono state definite le «mele marce»? Sembra quasi di essere tornati al 1993, quando la rottura del patto di fiducia tra partiti ed elettori, seguita agli scandali di Tangentopoli, consegnò al successo il referendum radicale per l’abrogazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Bene, il problema di allora era come dare una nuova veste giuridica a ciò che era stato irrimediabilmente cassato dalla volontà popolare.

Se anche gli italiani, infatti, avessero voluto cambiare la disciplina, e non invece eliminarla del tutto, non avrebbero mai potuto, posti come erano di fronte al terrificante e monolitico dilemma referendario. Non esistono sfumature di fronte al bivio tra un sì o un no e in quell’occasione il popolo decretò il suo no alla politica. La stessa onda emozionale che di recente ha fatto dire no alla privatizzazione dell’acqua o al nucleare. Per fortuna, lo Stato è soggetto solo in maniera sporadica a tale perversa matematica binaria e ciò che è 1 o 0 riesce ad assumere diverse sfumature. Così, la politica ha mischiato i colori per ottenere la sfumatura dei «rimborsi elettorali», lampante fictio giuridica che consentiva, e tuttora consente, alle grandi macchine centrali e periferiche di onorare i propri impegni finanziari e di portare avanti le varie battaglie politiche, non limitandosi alla mera attività di un comitato elettorale, come la Legge 157/1999 letteralmente prescriveva.

Come evitare, allora, che si imbraccino i forconi per consegnare al pubblico ludibrio colpevoli e innocenti? Abolire di nuovo i flussi statali sarebbe pura follia. Sembra ieri che piovevano in Italia gli aiuti americani alla Dc o quelli sovietici ai partito di Togliatti, il Pci,  eppure nessuno se ne sovviene. La guerra fredda è un concetto obsoleto? Neanche tanto. E comunque sono in corso altre e nuove guerre, combattute su terreni diversi, molto più silenziosamente. Se vogliamo davvero contrastare i fenomeni alla Lusi, rendere chiari e trasparenti i fiumi carsici della contabilità dei partiti e fare riacquistare fiducia nella politica, non dobbiamo farci coinvolgere nell’ennesima onda emozionale. Piuttosto, occorre mettersi a tavolino, con tutti i faldoni di studi che da sempre analizzano e comparano i vari sistemi adottati negli altri paesi, e optare per la soluzione che più si confà al nostro humus politico e sociale. Perché qui non è in gioco la politica in sé, ma, piuttosto, l’etica personale e il senso civico di coloro che se ne professano appartenenti.

Ylenia Citino


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