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SCRIPTORIUM SEGRETO - viaggio nel laboratorio dello scrittore: una chicca per chi ha letto (o leggerà) Tutta colpa di Tondelli

Creato il 25 marzo 2011 da Zioscriba
Oggi vi propongo una pagina che all’ultimo istante decisi di escludere dal mio romanzo d’esordio, in quanto mi pareva una digressione troppo intima e privata, ma soprattutto qualcosa che a quel punto stonava col respiro della storia, che si avviava a conclusione in un crescendo quasi forsennato.
Da un lato sono ancora convinto della bontà della scelta, perché si trattava di un pezzo un po’ “fuori tema” che andava a spezzare il formidabile ritmo del romanzo, e proprio nella parte semiconclusiva, quando il lettore vuol arrivare alla fine senza troppi indugi. Dall’altro sono pentito di aver sottratto al racconto un ulteriore momento di coraggiosa e struggente verità, nonché, forse, proprio uno di quei sapienti rallentamenti di cui gli autori più scafati vanno volutamente in cerca. Chi di voi avesse letto Tutta colpa di Tondelli, e la pensasse nella seconda maniera, è autorizzato a stamparsi questo pezzo e a inserire il foglietto volante a pagina 125, per leggerlo subito dopo la diciassettesima riga (“gli avrei dato uno strappo io”). Proverà così l’emozione di un libro sempre vivo, e in continua espansione, o una sorta di sperimentale “director’s cut” letterario...
L’attuale titolo per la mia vita è L’orfano trentaseienne, e ho passato giornate senza fine – un solo pomeriggio interminabile, il mio settembre – a cercar di salvare più ricordi possibili della mamma dalla raccolta dell’usato, cui li avrebbe condannati (col solito buonsenso che a me farà sempre difetto) il mio neovedovo padre.
Ho continuato proustianamente a imboscare nei miei cassetti e armadi i fazzoletti a fiori, lo scialle rosa, le camicette fantasia, insieme ai bigodini, alle pantofole, agli occhiali da sole e da lettura, e quel boccettino quasi vuoto del suo profumo Fifth Avenue (“Che amore, sei”, disse una zia quando le parlai del profumo). E poi le collane, le catenine, gli orecchini, le vestaglie, le tute – ne ho sempre indosso una sua. Ho salvato foulards, uncinetti e gomitoli di lana, pupazzetti, statuine e portachiavi, ho tenuto sciarpe, guanti, quaderni con ricette di cucina, diapositive, le borsette no perché son stato preceduto, e i pochi bei vestiti delle grandi occasioni. E poi ancora i pettini, le spazzole con ancora i suoi capelli, e un vecchio borsellino pieno di minuscoli elastici colorati. E gli ombrelli. I foglietti con vecchi punteggi di backgammon e scarabeo. Confezioni vuote di borotalco e popcorn, e scatole di camomilla solubile e di saponette e di altre cose da nulla, solo perché le sapevo comperate da lei, ho continuato a farlo incurante del monito apparsomi su una delle primissime cose salvate, un Woodstock di Shultz che da sopra una maglietta estiva della mamma mi diceva:
MEMORIES CAN DRIVE YOU CRAZY!
Se pazzia dev’essere, che sia.
Da folle o da sano mi prenderò cura delle tue piante da appartamento, mi prenderò cura delle tue nipotine, della micia e della lavanda e delle rose, mi prenderò cura dei miei sensi di colpa. Mentre ti accudivo, ti facevo compagnia, ti tenevo su il morale leggendoti le mie battute sciocche, dicevi che ero un Angelo, che non avresti saputo come fare senza me, eppure io so di non aver fatto abbastanza.
Sul mio comodino a ottobre c’era ancora, dopo quasi due mesi, intatta, la pastiglietta bianca del primo potente sonnifero della mia vita. La volevo prendere la notte dopo la tua morte. Me l’ero preparata lì, pronta per essere mandata giù. Ma poi mi era sembrata pura vigliaccheria. Non la presi. E passai la notte a fare, con gli occhi lucidi, quello per cui Tu mi avevi messo al mondo: scrivere.

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