L’ottantenne giurista Stefano Rodotà è un uomo di grande spessore intellettuale ma forse la matematica non è il su forte. Ancora combatte contro le scuole non statali come quando militava nel Partito Comunista Italiano. Ancora usa gli stessi slogan: «Non tagliare alla scuola privata per altri fini, ma per rendere la scuola pubblica adeguata ai propri fini», ha detto recentemente a Radio Popolare.
Ancora parla di “scuole private” in contrapposizione a quelle pubbliche, nonostante nel 2000 sia entrata in vigore la Legge 62 che afferma: «Il sistema nazionale di istruzione [...] è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private». Le scuole paritarie sono scuole pubbliche perché forniscono un servizio pubblico. Bisogna ammettere che Rodotà ha fatto comunque uno sforzo, una piccola concessione: «Ammesso pure si possa pensare di dare denaro alla scuola privata, può avvenire solo dopo che tutte le esigenze della scuola pubblica siano state effettivamente soddisfatte». Leggiamo ancora la Legge 62: la differenza è tra scuole paritarie e statali, non tra paritarie e pubbliche, le scuole paritarie sono scuole pubbliche.
Entriamo ora nel merito di quanto dice Rodotà: le scuole statali sono in crisi dunque bisognerebbe prendere anche i fondi che vengono destinati a quelle paritarie. Eppure dei fondi totali dati all’istruzione, la scuola paritaria riceve meno dell’1%! Rodotà vorrebbe prendere anche quell’1%, come se davvero potesse cambiare la situazione quando non si è in grado di ottenere risultati con il 99% dei fondi destinati.
Senza contare, poi, che bloccando i fondi alle paritarie lo Stato smetterebbe di risparmiare e dovrebbe spendere 7 miliardi dii più all’anno. Secondo i dati Miur dell’agosto 2013, infatti, in Italia le scuole paritarie sono 13.807, raccogliendo un bacino di 1.000.034 alunni, circa il 10% del totale degli studenti italiani. La scuola statale accoglie invece 8.938.000. Le paritarie in media ricevono dallo stato 490 euro a studente, mentre per ognuno degli studenti che frequentano scuole statali le casse pubbliche sborsano 6.800 euro. Togliendo quell’1% di fondi destinati alle 13mila paritarie esse chiuderebbero e bisognerebbe ricollocare oltre 1.000.000 di studenti, con conseguenti esborsi da parte dello Stato. La Finanziaria 2015 avrebbe bisogno di quasi 7 miliardi aggiuntivi: molto di più dell’Imu o dell’aumento Iva di cui si è tanto discusso.
I numeri sono evidentemente aumentati dal 2010, quando la rivista specializzata “Tuttoscuola” ha calcolato che «si può stimare in un altro miliardo e 202 milioni il risparmio dello Stato per gli alunni iscritti in scuole primarie paritarie. Se le scuole paritarie non esistessero, lo Stato dovrebbe spendere 6 miliardi e 245 milioni all’anno per accogliere il milione e 60 mila studenti attualmente iscritti a scuole non statali». Togliere i fondi alle paritarie «è illogico», scrive Linkiesta, «perché le scuole private paritarie garantiscono a decine di migliaia di bambini un ampliamento di servizio per la collettività che, gestito direttamente dal pubblico, non sarebbe possibile».
Dopo aver perso il recente referendum Bolognese contro le paritarie, Stefano Rodotà ha chiaramente spiegato che a lui non interessa nulla se lo Stato risparmia grazie alla scuola paritaria, perché si tratta di «principi che non possono rimanere sulla carta e che, quindi, non possono essere messi tra parentesi con l’argomento dei vincoli imposti dalla crisi economica». Le scuole paritarie vanno chiuse per principio, punto e basta, poco importa se fanno risparmiare lo Stato! Sarà contento di sapere che nell’ennesimo sondaggio online ospitato da “Quotidiano Nazionale”, dopo quello su “La Stampa”, l’87% per cento dei votanti gli ha indirettamente detto: “caro Rodotà, abbandoni l’ascia di guerra e si goda la pensione: i suoi principi non sono i nostri”.
La redazione