di Rina Brundu. Non si tratta di un “mistero” tipo mostro di Loch Ness, ovvero di quei misteri che poi non sono davvero tali ma di cui si preferisce conservare il mito mercé le atmosfere gotiche e rarefatte che riescono a creare. Il mistero del Massimo Giletti, conduttore rampante e sartrianamente “impegnato” del programma L’Arena (ore 14, la domenica, su Rai1), è vero e proprio mistero. Nello specifico il dubbio amletico et arcano è: Giletti c’é o ci fa?
Detto altrimenti, dobbiamo davvero credere alla sua “passione” di impavido condottiero in prima linea contro la corruzione del Sistema? Da dire c’é che non è facile come sembrerebbe rispondere a questa domanda. Bisogna concedere infatti che sono innegabili alcuni punti a favore di questo conduttore. Piace per esempio – dentro le dinamiche del nuovo format televisivo tabloid che sembrerebbe avere inventato e che per sua natura è destinato ad intrattenere la pancia di una nazione – la padronanza dello studio, l’interazione moderna e diretta sia con gli ospiti presenti nel parterre che con quelli in esterna, finanche gli a-parte a loro modo incazzati con gli interlocutori ideali (vedi quest’oggi la ramanzina al Mario Capanna, ex leader del ’68 e di Democrazia Proletaria e corrente propietario, a quanto si legge nei giornali, di doppi vitalizi a cui non intenderebbe rinunciare).
Piace anche il suo stile da anti-Santoro, il suo stile meno supponente di quello del conduttore di “Servizio Pubblico”, quasi da ragazzo della Porta a Porta… pardon, della porta accanto. Il diavolo però, come sempre, è nei dettagli. E se da un lato – trattando argomenti tanto spinosi quanto lo sono quelli relativi alla “corruzione” (in senso lato), nella Pubblica Amministrazione – si comprende la necessità di una estrema “cautela” nelle “denunce”, onde evitare querele a-pioggia che poi pagherebbe il contribuente tartassato, di una cautela che è anche sacrosanta dato che si sta parlando dal pulpito del servizio pubbico nazionale, dall’altro è indubbio che il Massimo Giletti indefesso difensore dell’etica e della moralità pubblica sarebbe molto più credibile senza quei suoi ormai mitici incisi captatio-benevolentiae. L’esempio più-più di quest’oggi? Quando nel mezzo dell’infervorata discussione ne è venuto fuori con l’immancabile ammonimento popolutistico “Attenzione! Non dimentichiamo però che questo governo Renzi ha fatto tante cose e che non è facile farle in questa Italia…”.
Non è facile? Allora il governo Renzi dovrebbe dimettersi e lasciare il compito a un partito che ha più fiducia nelle sue possibilità di riuscita. Il punto è che un conduttore di un programma come L’Arena, se da un lato deve essere “cauto” dall’altro dovrebbe sempre evitare di fare il paraculo col governo in carica, pena la sua credibilità. Se un governo fa bene saranno i cittadini a notarlo e non avranno mai bisogno che un giornalista del servizio pubblico interpreti quel “ben fatto” per loro. Ma non è tutto. Nel suo ruolo di commandante delle truppe giornalistiche della domenica pomeriggio Massimo Giletti, così come gli altri che fanno la sua stessa professione, ha anche l’onore e l’onere di proporre modelli professionali e umani. Politici. Modelli maschili e femminili.
Per esempio, non è raro notare tra i suoi ospiti Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e Simona Bonafé (PD). Oggi c’é stata anche la ciliegina sulla torta dell’intervista al Ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi. Premesso che – come è noto – io sponsorizzo i modelli femminili che hanno il coraggio di essere come veramente sono e dunque non si impongono una “maschera” per apparire diverse, confesso che non sono una ammiratrice del modello Fata Turchina che – con tutto il rispetto – mi trasmette il ministro in questione (non a caso è stato proprio in quel momento che ho cambiato canale e abbandonato il nostro eroe Giletti al suo destino)… e dunque passo oltre e mi concentro sui modelli Meloni e Bonafé. La signora Bonafé é indubbiamente persona capace e valida, di sostanza si potrebbe dire, tuttavia, non so il perché non so il percome ho certezza della sua natura di “stella cadente” il cui splendore è direttamente legato allo “splendore” del renzismo: quando imploderà o scoppierà quella stella sarà anche la fine della stella Bonafé. Mi sbaglio? Time will tell.
Ne deriva che tra i modelli femminili “imposti” dal gilettismo il modello passionale Giorgia Meloni è senz’altro quello che si può immaginare duraturo, vincente, ma soprattutto indipendente (in opposizione ai due precedenti che sono “dipendenti”), insomma quello che potrebbe avere un futuro anche sostanziale. Non sarebbe azzardato dire che Giorgia Meloni ha tutte le carte in regola per diventare il primo premier italiano donna. Per fare questo però dovrebbe smetterla una volta per tutte con le populistiche e utopiche discussioni senza capo-ne-coda contra-Europa e a favore dell’uscita dall’Euro e impegnarsi convintamente in date battaglie che ha dimostrato di saper combattere molto bene. Prima fra tutte la creazione di universi politici snelli e moderni con la possibilità per il popolo di votare direttamente il suo presidente (nella speranza che non si vedano mai più gli inciuci di palazzo che hanno offeso la nostra moralità in questi giorni) e poi quella della necessità di un maggior controllo delle attività dei consigli comunali (vedi il caso incredibile di Agrigento), regionali, etc. e delle spese che queste determinano a nostro carico. Sarebbe opportuno anche che si cominciasse a guardare nella “qualità” dell’operato ma meglio procedere un passo alla volta.
Featured image, Caio Muzio Scevola che mette la mano sul fuoco per mostrare la sua assoluta sicurezza e determinazione.