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Se gli ispettori possono servire a qualcosa …

Creato il 22 agosto 2013 da Jackfide

ghoutaItalian Post

Era prevedibile. La notizia dell’utilizzo di armi chimiche durante l’attacco compiuto dalle milizie del presidente Bashar al Assad nell’area di Ghouta ha provocato una serie di reazioni diplomatiche da parte dei ministeri esteri delle principali potenze occidentali. Alle immediate dichiarazioni di William Hague, ministro degli Esteri britannico, hanno fatto eco le più veementi asserzioni del suo omologo francese, Laurent Fabius, che chiama ad una “reazione di forza” da parte della comunità internazionale nell’ipotesi in cui fosse provato l’uso di gas nervino nell’attacco di mercoledì.

Nel frattempo, ieri il Consiglio di sicurezza dell’Onu si è riunito in un vertice d’emergenza richiesto dall’Arabia Saudita, senza però arrivare ad una deliberazione congiunta da parte delle rappresentanze nazionali riunite. Dall’incontro è uscito soltanto l’impegno di fare luce sul presunto utilizzo di armi chimiche. Se da una parte Russia e Cina si sono opposte all’adozione di una risoluzione comune, un gruppo di trenta Paesi (tra cui Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Italia) hanno chiesto al team di ispettori delle Nazioni Unite che Ban Ki Moon ha inviato a Damasco di impegnarsi nelle indagini sul presunto attacco chimico.

Occorre a questo punto interrogarsi sulle motivazioni, ragionando sempre in un periodo ipotetico, che avrebbero spinto Bashar al Assad ad optare per l’uso di tali armi in questo momento del conflitto. Ormai è noto che la guerra in Siria stia volgendo in suo favore. Sostenuto dall’intervento degli Hezbollah, l’esercito siriano si è ripreso la città di Qusayr, situata in una posizione chiave dal punto di vista strategico, dal momento che si trova proprio al centro della Siria; e chi controlla il centro della Siria tiene in pugno tutto il paese.

Ora, dato per scontato che le Nazioni Unite si sarebbero comunque mobilitate inviando un gruppo di ispettori alla notizia dell’uso di gas nervino  (in passato sono stati scomodati per molto meno, vedasi l’Iraq), l’attuale congiuntura internazionale non poteva mostrarsi più favorevole per le milizie pro-regime. Per una serie di motivi non casuali. Come si è palesato in occasione della seduta del Consiglio dell’Onu, né MoscaPechino sono intenzionate a prendere una decisione che possa scomodare più di tanto la posizione di Assad.

Pretendendo lo svolgimento di “indagini imparziali”, i russi hanno già fatto capire di non essere minimamente disposti ad avvalorare la “tesi” dell’uso di armi chimiche da parte del regime. In una nota divulgata alla vigilia del vertice Onu, hanno anzi definito tale ipotesi come una “tattica provocatoria pianificata in anticipo”.  Ma non è di certo la linea di condotta del Cremlino a stupire. E nemmeno la posizione dell’Iran, che per voce del proprio ministro degli Esteri, Mohammad Javad Zarif , difende a spada tratta il governo alawita di Damasco. ‘Se le notizie sull’utilizzo di armi chimiche fossero esatte, certamente sarebbero state utilizzate da gruppi terroristi e takfir, gli estremisti sunniti anti-Assad, che hanno dimostrato di non fermarsi di fronte ad alcun crimine”, ha commentato Zarif tramite l’agenzia di stampa iraniana Irna.

Ciò che continua a sorprendere è l’atteggiamento irresoluto e titubante dell’Occidente, in primis degli Stati Uniti. In settimana, una figura chiave dell’apparato militare statunitense ha rilasciato delle dichiarazioni che sembrano bilanciare gli umori contrastanti che si respirano a Washington. In una lettera inviata ad un membro del Congresso, il Generale Martin Dempsey, presidente del Joint Chiefs of Staff – l’organo a capo di tutti gli stati maggiori degli Usa -  rimarca che l’amministrazione si opporrà anche al proposito di un’azione limitata in Siria, in quanto i ribelli che combattono contro il governo di Assad non sosterebbero gli interessi americani se dovessero prendere il potere. Di converso, proprio ieri l’ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite Samantha Power ha focalizzato l’attenzione sull’agghiacciante numero di morti riversati per le strade, scrivendo in un post su Twitter che gli ispettori dell’Onu devono subito rendersi operativi e che, se le voci dell’utilizzo di armi chimiche venissero confermate, “i responsabili faranno i conti con la giustizia“.

Negli Stati Uniti le drammatiche statistiche sui numeri delle vittime e le dolorose immagini provenienti dalla Siria stanno riaccedendo diversi riflettori sull’impegno preso del presidente Barack Obama, che più o meno un anno fa garantiva un’energica e pronta risposta da parte di Washington ad ogni attacco chimico lanciato dal governo di Assad. Malgrado ciò, fino ad oggi Obama ha rifiutato tutte le opzioni di intervento militare degli Usa in una guerra civile che ha ucciso più di 100.000 persone e che conta milioni sfollati. L’unico impegno a stelle strisce si è contraddistinto nell’invio di “pacchi” d’armi alla coalizione dei ribelli, lasciando peraltro molte perplessità su quali tipo di armi fossero. Tutto sommato, si tratta di fattori che giocano a favore delle milizie di Bashar al Assad: non è dunque da escludere l’ipotetica decisione di impiegare il gas nervino per infliggere un ulteriore “contraccolpo psicologico” ai ribelli.

Comprensibili del resto anche le esitazioni di Obama, che vorrebbe in tutti i modi scongiurare di essere coinvolto in un altro conflitto in Medio Oriente, dopo un decennio di combattimenti tra Iraq e Afghanistan che hanno trascinato gli States nelle sabbie mobili internazionali. Quando poi sono i sondaggi a corroborare questi sensori c’è poco da scherzare. Anche se gli umori dell’opinione pubblica americana potrebbero cambiare in caso di superamento di quella “linea rossa” posta dal presidente, che delimita proprio il confine rappresentato dall’uso di armi chimiche.

Fino a prova contraria, tutti i possibili sviluppi diplomatici passeranno per i risultati che rileverà lo staff di ispettori dell’ONU guidato dallo svedese Ake Sellstrom;  come il suo connazionale Hans Blix in occasione della risoluzione 1441, indirizzata all’accertamento della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq,  il gruppo di osservatori di Sellstrom potrebbe rappresentare l’ago della bilancia per un’eventuale svolta internazionale che si determinerebbe dalle conferme dell’uso o meno di armi chimiche nell’attacco di mercoledì.

Giacomo Fidelibus



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