È noto come uno dei fattori di maggiore debolezza degli italiani residenti in provincia consista nella loro fievole e disomogenea rappresentanza politica. Numericamente inferiori, persino divisi e frazionati al loro interno, difficilmente essi possono ambire a contrastare, equilibrare o integrare efficacemente il potere della Svp. Ma non si tratta soltanto di un problema meramente quantitativo. La moltitudine dei partiti “italiani” è essenzialmente debole perché ognuno di loro ha un riferimento per così dire extraterritoriale. Sono cioè soggetti concepibili alla stregua di filiali influenzate in larghissima parte da eventi e decisioni che accadono sempre da qualche altra parte.
Un esempio recente, a questo proposito, è costituito dalla ripercussione locale dello strappo di Gianfranco Fini. La creazione di Futuro e Libertà ha indotto anche Alessandro Urzì a fuoriuscire dal Pdl, operando una scissione non motivata da logiche o esigenze territoriali (fino a poco fa Urzì era un convinto sodale di Michaela Biancofiore, berlusconiana di ferro), ma dalla mera imitazione di quanto sta avvenendo a livello nazionale. Negli ultimi anni il centrodestra altoatesino è vissuto sul filo di polemiche molto accese, anche a livello personale, ma almeno non privandoci completamente della sensazione che si sarebbe potuto svolgere un proficuo dibattito sul ruolo che il partito comunque più votato dagli italiani dovrebbe assumere in questa terra molto particolare. Adesso, con la nascita di Futuro e Libertà, le linee fondamentali di questo dibattito si fanno se possibile ancor più ingarbugliate e inseguibili. Sembra mancare cioè qualsiasi filo conduttore in grado di legare i progetti della politica ai bisogni dei cittadini.
Forse oscuramente consapevoli di questa grave mancanza, i nostri “futuristi” hanno dovuto così improvvisare una strategia che ne rendesse plausibile la presenza. E qui, abbastanza inaspettatamente, hanno deciso di riesumare un vecchio tema, quello dell’“immersione”, giudicato da molti osservatori come esaurito o comunque già più volte accantonato perché facilmente “ideologizzabile”. Ora, se anche esistesse la possibilità di riprendere con vigore un progetto basato sul diffuso insegnamento veicolare delle lingue, è perfettamente chiaro che ciò dovrebbe avvenire mediante il coordinamento di più forze, in modo trasversale e non partitico. Puntare invece sul cavallo sfiancato dell’“immersione” in un contesto di ulteriore frammentazione, magari allo scopo di ottenere più visibilità, appare una mossa inopportuna e controproducente anche credendo sinceramente alla bontà del modello formativo che si vorrebbe proporre. Il rischio, insomma, è che il cavallo sfiancato stramazzi al suolo per sempre.
Corriere dell’Alto Adige, 19 novembre 2010