“In Italia, purtroppo, soprattutto nell’arco degli ultimi anni, il lavoro del cronista, del giornalista è stato costantemente preso di mira e insultato da generalizzazioni inquietanti, screditato soprattutto dal punto di vista sociale, culturale, mettendolo nell’arena politica dei pro o contro il parlamentare o capo popolo di turno, senza dare adeguato spazio alle inchieste sui veri problemi che stanno portando al collasso il nostro Paese“.
E’ l’ennesimo comportamento “antisociale,illegale ed ingiusto“, sostiene il giuslavorista Alleva . Stiamo parlando della vicenda di una impresa editoriale di Mirandola (Modena) che, come scritto nella sentenza non appellata del Tribunale di Roma dell’ottobre scorso, non ha versato i contributi previdenziali e ha formalizzato erroneamente il rapporto di lavoro giornalistico di un collaboratore. A fare da contorno a questa condotta, ormai usanza nazionale, che toglie dignità al lavoro giornalistico, c’è l’inopportuna candidatura (con il Movimento 5 Stelle, ndr) alle elezioni del legale rappresentante della società, che attraverso il suo avvocato si difende dichiarando che ” la sentenza non condanna la persona, ma la società, di cui era legale rappresentante. Essendo una sentenza civile non ha nè avrà mai alcuna ripercussione giuridica contro di lei personalmente“. (ulteriore specifiche di questo punto di vista si leggono qui, dove si ritira anche informalmente la suddetta candidatura)
E’ un esempio di vicenda, una delle tante che avvengono e una delle pochissime che trovano spazio sulla stampa, in cui si sottovaluta la mancata regolarizzazione di un lavoro giornalistico, ci si trincera dietro lo scudo della persona giuridica societaria, e, soprattutto, non si prende in considerazione la pesante e demoralizzante condizione lavorativa (ma anche di dignità umana) che attanaglia da anni i giornalisti precari. Secondo il rapporto di LSDI ( Libertà di stampa e diritto all’informazione, ndr) in Italia ci sono 112 mila giornalisti precari, il triplo rispetto alla Francia e il doppio rispetto al Regno Unito, solo 1 su 5 ha un contratto di lavoro dipendente e soltanto il 45% sono attivi ufficialmente. La media annua della retribuzione dei giornalisti dipendenti è di 62.288 euro lordi, il reddito medio degli autonomi 12.456 euro, il reddito medio dei parasubordinati (Co.co.co) 9.703 euro.
In Italia, purtroppo, soprattutto nell’arco degli ultimi anni, il lavoro del cronista, del giornalista è stato costantemente preso di mira e insultato da generalizzazioni inquietanti, screditato soprattutto dal punto di vista sociale, culturale, mettendolo nell’arena politica dei pro o contro il parlamentare o capo popolo di turno, senza dare adeguato spazio(tranne alcune riserve indiane, ndr) alle inchieste sui veri problemi che stanno portando al collasso il nostro Paese. Nel nostro Paese il ruolo del giornalista sta diventando sempre più quello di portatore afono di microfono, pronto a registrare le dichiarazioni quotidiane dell’onorevole di turno, senza disturbare il manovratore.
Causa di questo è anche la degenerazione culturale che ha colpito l’Italia negli ultimi decenni, un Paese in cui non si riconosce più il ruolo sociale fondamentale del vero giornalismo, in cui si ricordano solo gli eroi di ieri (Siani, Rostagno, Alpi, Fava, Tobagi solo per citarne alcuni) e non si pensa alle condizioni semi-schiaviste dei giornalisti precari di oggi, dei 5 euro ad articolo (quando viene pagato…) . Si potrebbe estendere l’equo compenso ai non contrattualizzati, agli autonomi non dipendenti economicamente da una testata che usufruisce di finanziamenti pubblici. In questo periodo di estensione massima di precarizzazione (vedi Jobs act di Renzi) e di cancellazione di diritti dei lavoratori è chiedere troppo?